ALEJANDRO AMENÁBAR

10.10.2015 09:45

“Mare dentro, mare dentro.

Senza peso né fondo,

dove si avvera il sogno,

due volontà fanno avere un desiderio nell’incontro,

il tuo sguardo, il mio sguardo,

come un eco che ripete senza parole. Più dentro, più dentro.

Fino al di là di tutto, attraverso il sangue e il midollo,

però sempre mi sveglio e sempre voglio essere morto,

per restare con la mia bocca, sempre preso nella rete dei tuoi capelli”.

(MARE DENTRO, 2004)

 

Appare e scompare Alejandro Amenábar sulla scena del cinema mondiale. Colpisce, invade i cuori e i piaceri del suo pubblico con opere artistiche di assoluto valore, poi lo lascia, in un abbandono di riflessione quanto mai lungo, eccessivo, nostalgico. Di lui se ne perdono le tracce, e per anni, invano lo si cerca. Accade quindi, molto spesso, che quasi lo si dimentica.

Poi si scopre l’uscita di un nuovo film, a distanza di nove anni dall’ultimo, Agorà, del 2009. E così ricompare il suo nome nei cartelli pubblicitari, negli articoli, nei trailer, nelle descrizioni. E così, come se nulla fosse accaduto, la mente e il cuore si riavvicinano in un percorso à rebours alla filmografia di un autore che ha saputo accenderli, stimolarli. Semplicemente, parlargli.

Sebbene questa sua pazienza e questo suo silenzio di produzione artistica tendano a classificarlo a priori come un autore eclettico e particolare, Alejandro Amenábar è riuscito a investirsi di tale nomina proprio con il suo lavoro: le sue opere vanno ad identificare un tragitto artistico del tutto particolare, e decisamente sopra la media. Dopo i primi cortometraggi, il giovane cineasta cileno, ma di adozione spagnola, spiazza la platea cinefila con Tesis (1996), thriller di intelligente costruzione, che affronta le leggende maledette del cinema e dei media, gli “snuff movies”. Con questo suo primo lungometraggio Amenábar non traccia la linea della sua futura creazione artistica, ma scava letteralmente un solco: il suo cinema (e il suo amore per il cinema) pone le fondamenta in un genere ben preciso, il thriller, si struttura su un’accurata attenzione e conoscenza dei generi e delle loro caratteristiche, ed è percorso da un filo tematico comune, la morte e i sensi, le domande, che gravitano intorno ad essa. È un cinema che riesce quindi a stupire per la bellezza e la cura della confezione, della narrazione, ma allo stesso tempo riesce a porre domande e stimolare riflessioni: «Cerco sempre di fare in modo che durante la visione dei miei film ci sia un numero determinato di spettatori che possano cogliere certi messaggi, ma a livello superficiale cerco sempre che lo spettatore medio, che si reca al cinema per rilassarsi, possa seguire il film senza restare estraneo a ciò che accade sullo schermo».

 

Il thriller è il genere che lo lancia (Tesis), che lo conferma (Apri gli occhi, 1997), che lo consacra come autore (The Others, 2001). In questi primi tre film si sprecano gli echi stilistici che rimandano al cinema del grande Alfred Hitchcock, e questo già basterebbe a far intuire lo studio, l’abnegazione e la passione dietro al talento naturale di Amenábar; ma non spiega tutto. Perché pur restando dentro il rispetto educato ed intelligente dei canoni classici, definiti proprio dal maestro inglese, Amenábar riveste il thriller dell’abito della modernità, che si caratterizza per una scrittura forte, minuziosa nella creazione delle atmosfere e della suspense proprie del genere, e decisamente votata all’oscurità interpretativa, a descrivere il non visto o il percepito, al ribaltamento, alla centralità dei personaggi e delle loro psicologie; per le venature horror, tanto da essere uno dei primi battitori di una strada oggi affollata, se pensiamo ai labili e sfuggenti confini che l’horror e il thriller condividono, dove l’una sfuma nell’altro e viceversa, compartecipando alla creazione di un nuovo modus di fare cinema; per la forza espressiva di una macchina da presa che conosce alla perfezione i percorsi classici, ma che dal buio e dalla presenza costante della morte si fa, anch’essa, sorprendere.

Ragiona di morte e violenza gratuita, infliggendo pesanti critiche al mezzo televisivo, Tesis; il protagonista sfigurato di Apri gli occhi, interpretato dal carismatico attore Eduardo Noriega, decideva di morire per scegliere la vita; l’assunto di base di The Others, esplicitato palesemente nel suo spiazzante finale, tra i più grandi e riusciti nella storia del cinema, è la morte stessa. Così, se il thriller/horror viene successivamente abbandonato dal nostro autore, trasformandosi in un banalmente identificabile “melodramma”, il tema della dipartita ultima e definitiva resta vincolo anche delle opere successive. Dimostra coraggio Amenábar, quando decide non semplicemente di sterzare, ma proprio di compiere un’inversione ad U, lasciando le atmosfere dei primi film, per abbracciare le istanze di un genere completamente diverso, decisamente meno codificabile, perciò più libero. E saranno stati molti suoi affezionati a storcere il naso. Mare Dentro (2004), e Agorà, almeno all’apparenza, sono quanto di più lontano dalle prime opere. Ma persiste, appunto, il riverbero della morte, qui portata ad un livello di riflessione superiore: con la storia vera di Ramon Sampredo, che scelse l’eutanasia nel dire no ad una vita che, per lui, marinaio viaggiatore, non si poteva definire tale; e l’altrettanta reale esistenza della filosofa alessandrina Ipazia, martire di una conoscenza filosofica, e scientifica, andata perduta, e di valori umani universali, lontani da ideologie religiose o politiche che imperversavano nella Grecia del IV sec. «È logico che abbia fatto io questo tipo di film sugli esseri umani e la morte. È qualcosa da sempre presente nel mio cinema. Sono interessato alle persone, a ciò che dà un senso all’esistenza o a quello che lo toglie: la morte»

Ma la strategia creativa di Alejandro Amenábar sorprende ancora. E oggi, in una visione d’insieme che per forza di cose non ci è ancora del tutto chiara, riusciamo tuttavia ad intuire che Regression possa essere il film sintesi, che unisce i primi tre agli altri due, e che allo stesso tempo e paradossalmente riesca a staccarsi da tutti e cinque. Un arrivo, probabilmente, non si sa se in vetta e a quale altezza. O meglio, una conclusione: il punto di fuga a cui rivolgersi, nel quale convogliare tutte le linee prospettiche degli altri film, e per non perderci, quando forse, per un po’ di anni, perderemo lui, Alejandro Amenábar, dai radar del cinema, un’altra volta.

 

 

TESIS                                                                        8

APRI GLI OCCHI (ABRE LOS OJOS)                        7

THE OTHERS                                                           9

MARE DENTRO (MAR ADENTRO)                          9

AGORÀ                                                                     8