ANNA KARENINA di Joe Wright

25.02.2013 16:18

«Anna Karenina in quanto opera d'arte è la perfezione... e niente della letteratura europea della nostra epoca può esserle paragonato» (Fedor Michajlovic Dostoevskij). Difficile, come sempre, riuscire a portare al cinema storie tratte da capolavori assoluti della letteratura mondiale. E già solo il titolo, “Anna Karenina”, così, messo lì, precisamente lui, lo stesso del romanzo, senza rigiri o allusioni varie, mette una certa inquietudine e rispetto. È Anna Karenina: anche se guarderemo l’opera di Lev Tolstoji su uno schermo cinematografico; film confezionato da Wright e dallo sceneggiatore Tom Stoppard, in primis, in modo quanto mai originale, dentro le strutture decadenti di un teatro, simbolo chiaro e rimando alla decadenza della Russia di fine ‘800. Tuttavia la trovata risulta controproducente alla qualità del film nel suo complesso, perché mina in modo inequivocabile la portata drammatica e contenutistica del romanzo di Tolstoji: tutto sembra più finto, poco reale, e meno autentico. Non possiamo quindi, a tratti, non concederci a qualche smorfia eloquente nel guardare questo Anna Karenina, molto simili a quelle a cui insopportabilmente sembra ormai “abbonata” la sua interprete.

Keira Knightley non sembra proprio la miglior scelta per il ruolo della protagonista. Le costruiscono intorno un personaggio che già dalla sceneggiatura ha poche sfaccettature, e poche sensibilità su cui lo spettatore può ritrovarsi e adagiarsi: non piace, perché non coinvolge nei suoi ruoli, di moglie né tantomeno di amante, funziona solamente come madre, e proprio nelle scene concesse a lei e a suo figlio scopriamo l’Anna Karenina più donna, più rigorosa, più amante, participio passato del verbo “amare”, e con lei ammiriamo la Keira Knightley migliore.

Joe Wright sembra più interessato alla forma che al contenuto. Rivoluziona in modo esagerato il linguaggio cinematografico, adoperandosi in un montaggio più proibito di quello proibito, perché oltre all’insistito uso - anche sapiente e raffinato come gli compete - del piano sequenza (alcuni spiazzano veramente), abolisce anche i classici raccordi: Anna Karenina è fatto da scene formalmente a sé stanti, svelate da sipari che si alzano, da fondali che cambiano. Il regista sembra intenzionato a sondare la profondità espressiva del mezzo cinema, più che quella dell’amore: un amore che regge la sua necessaria e auspicabile portata spirituale, nel contrasto tra la storia ambigua e moralmente vacillante della stessa Anna Karenina e quella del leale, coerente e fedele amante Levin con la sua giovane e bella Kitti. Pertanto quello di Wright risulta, in conclusione, un esercizio di stile, a volte riuscito, con risultati strabilianti, ma un po’ fine a se stesso, e che, per il sottoscritto, non trova il giusto compromesso con quel “cosa” che si voleva raccontare: insomma Anna Karenina, non convince appieno, perdendosi tra tanti ghirigori baroccheggianti, invece che nelle voluttuosità classiche dell’amore.

VOTO 6