AYRTON SENNA
Di Ayrton Senna si è detto, scritto e mostrato tanto. E si dirà, si leggerà, e si vedrà tanto soprattutto nel giorno di domani. 1° maggio 2014, venti anni dopo quel 1°Maggio 1994 in cui, nei primi giri del Gran Premio di Imola, il pilota brasiliano perse la vita.
Io Senna non me lo ricordo. Ho iniziato a seguire e ad appassionarmi, fino poi ad amare, la Formula 1 dal 1996, due anni dopo quell’anno di quel fatidico giorno, quando vinse il titolo mondiali piloti un certo Damon Hill, che mi colpì, che da allora apprezzai, lasciandomi quell’ammirazione e riconoscenza, forse puerile, ma che poi si trasformò in vero tifo e sostenimento fino al 1999 quando abbandonò il mondo delle corse. Sono ormai quasi 20 anni che seguo la Formula 1, anche se ultimamente a fasi un po’ alterne causa il trasloco a Sky delle dirette dei Gran Premi: nei primi anni mi facevo affascinare dal puro spettacolo che offrivano quei bolidi sparati a tutta velocità, come un bambino appassionato di “macchinine”; mi facevo impressionare dagli incidenti, dai sorpassi, dalle scodate. Era una Formula 1 vera, di veri piloti e motori, lontanissima parente di quella di adesso. Poi crescendo cresceva anche sempre più l’interesse, e la passione verso questo sport che esaltava gli uomini veri, la velocità pura, la precisione matematica, esaltava il coraggio, quell’andare oltre la paura, sfidare, anche, sì, proprio la morte. Di tutta questa Formula 1 ho in mente tantissimi piloti: oltre il già citato Damon Hill, il campionissimo Michael Schumacher, il grande Mika Hakkinen, e quelli ancora in attività come Fernando Alonso, Lewis Hamilton, Kimi Raikkonen, senza dimenticare un certo Sebastian Vettel. Piloti eccezionali, con la P maiuscola. Che hanno scolpito ricordi vivi nella mia memoria. Pensavo di aver visto tanto, forse il massimo, ammirando questi campioni. Pensavo di aver visto sorpassi capolavoro, grandi manovre, imprese colossali, come le rimonte di Schumacher in Ferrari, quando costretto all’ultimo posto, come la capacità al volante, unica e rara, di Mika Hakkinen; e anche oggi si può pensare di aver visto veri picchi di questo sport, livelli altissimi, come i sorpassi al limite del possibile di Lewis Hamilton, come la tenacia e la costanza martellante di guida di Fernando Alonso, la forza e la velocità di Vettel, la freddezza di guida, millimetrica, di Kimi Raikkonen. Pensavo anche di aver visto buone dosi di spettacolo, grandi acrobazie automobilistiche. Pensavo di aver visto stili e filosofie dell’automobilismo. Ho visto tanto, effettivamente, campioni e piloti che hanno fatto la storia. Ho visto molto di questo sport, pagine indimenticabili scritte in pista da questi piloti, pagine di sport. Ma pensavo di aver visto tutto. In realtà non l’avevo visto. Quel tutto apparteneva ad un pilota che non aveva, purtroppo, deliziato le mie domeniche di pomeriggio davanti alla tv, perché non ero ancora nato, o ero troppo piccolo per capire quello che accadeva in quella scatola nera. Quel pilota era Ayrton Senna: avevo tanto sentito parlare di lui, e tanto ne avevo letto. Decisi di approfondire. E allora mi misi a guardare video e documentari, che rendevano testimonianza delle sue imprese. È bastato pochissimo, qualche secondo di qualche filmato per capire che l’apice di questo sport era stato raggiunto negli anni in cui io stavo nascendo, e che era terminato nel 1994, due anni prima che nascesse invece il mio interesse verso la Formula 1. È stato Ayrton Senna, la sua era, la sua epopea, a descrivere la Formula 1 nel modo più completo, più sportivamente esaltante. Senna era, ed è, la Formula 1. È l’incarnazione di questo sport. Senna è stato l’artista che ha dipinto quadri memorabili ed indimenticabili, tracciando linee perfette, e riempiendole di colori vivi, autentici, fortissimi. Ogni suo Gran Premio è stato un’affermazione. Ogni affermazione un’impresa. Ogni giro un pezzo musicale di assoluta bellezza, ogni sorpasso un capolavoro, ogni frenata un’emozione. Esaltava. Perché correva, spingeva, vinceva. Voleva essere il primo fra i primi. La sua grandezza si misura anche per il fatto che abbia saputo lottare e battere rivali fortissimi dell’epoca, sminuendo anche il professore Prost e il leone Mansell, gli unici che sono riusciti a tenergli testa, con furbate e pedale. Preciso al dettaglio. Unico e irripetibile per come guidava sul bagnato. Il primo giro a Donington, 1993: mentre gli altri rallentavano, lui accelerava, e a quei tempi non era questione di assetti della vettura. Mentre gli altri frenavano in concomitanza di una curva, lui scalava una marcia. Senna guidava da dio. Senna incarna il concetto stesso di guida sportiva.
Al suo funerale, a San Paolo, Brasile, hanno partecipato circa 5 milioni di persone. Testimonianza questa di quanto il pilota di Formula 1, il campione sportivo, fosse stato amato da chiunque, avesse valicato quel confine che lo legava solo al tuo sport, ai suoi risultati, per arrivare al cuore delle persone, anche, e soprattutto, come uomo. Perché di lui si ricorda anche il sorriso, la sensibilità verso i poveri del suo Brasile – la bandiera verde oro che sventolava alla fine di ogni GP era per loro, per ricordargli che possono continuare a pensare un futuro diverso, e che possono farcela ad “abitare” quel futuro -, le sue parole, i suoi gesti fuori dal circuito. Ha trasmesso non soltanto la sua idea di competizione, che già di per sé piaceva, ma soprattutto quella di esistenza. Caro Ayrton ci hai raccontato cosa significa esistere. Lo hai fatto guidando. Lo hai fatto vivendo.
Per questo il 1° maggio 2014 ha lasciato un vuoto. Forse piccolo nel grande corso degli eventi storici. Ma grande nella storia dello sport. E incolmabile in quella della Formula 1.
È la festa dei lavoratori. Non si lavora, non si va a scuola. Si pensa ad altro. Un po’ anche ad Ayrton Senna. Qualcuno sicuramente: i più “anziani”; gli appassionati. Ma un po’ tutti, perché un po’ dappertutto c’è nell’aria il ricordo del "miglior pilota di tutti i tempi".
SIMPLY THE BEST.