BLING RING di Sofia Coppola

03.10.2013 21:44

Mi sono tenuto alla larga da Somewhere perché avevo letto critiche non confortanti, e soprattutto avevo sentito giudizi di persone fidate non così positivi. Ecco, il mio rapporto con Sofia Coppola è rimasto a quel Lost in Translation e Marie Antoinette che, per motivi diversi, erano riusciti a suscitare tanti spunti di interesse da parte mia verso la giovane cineasta, nonché figlia del più famoso Francis Ford. Ma Bling Ring ha fatto quello che (credo) non è riuscito a fare Somewhere: smontare e afflosciare questi spunti di interesse.

Bling Ring narra la vicenda realmente accaduta a Los Angeles che ha visto coinvolti sei ragazzi, denominati banda dei “Bling Ring”, appunto. Ossessionati dalla vita delle loro star preferite, hanno iniziato quasi per gioco a cercare indirizzi in internet delle loro abitazioni per poi entrarci e prendersi quello che più desideravano. Il gioco è diventato per il gruppo (quasi tutte donne e un ragazzo) quasi un vero e proprio stile di vita, un vizio esistenziale di cui non poter farne a meno. È notevole il materiale di cui dispone tra le mani Sofia Coppola, anche sceneggiatrice del film, come per le precedenti opere, ma la regista non riesce, purtroppo, a costruire nulla di veramente significativo. Quello a cui assistiamo è il racconto di un fatto di cronaca, una mera, semplice, scontata e lineare narrazione di fatti. Una vicenda che non viene interiorizzata per niente. Tutto è talmente vuoto da risultare stereotipato all’inverosimile, soprattutto i protagonisti della storia, appartenenti a quel mondo adolescenziale frivolo, superficiale e senza interessi, se non quelli che riguardano personaggi famosi, moda, fama e successo. Stereotipati sono anche i leggerissimi sentimenti che traspaiono da loro, e che rarissime scene provano a raccontare, per dare quel qualcosa in più, e innalzare il livello del racconto, ma che, o lo dicono male, o lo dicono talmente sottovoce che il tutto si perde come tra le pareti di una grande e vuota casa di una star. Stereotipati sono i contrasti, che dovrebbero servire ad esaltare maggiormente le personalità dei ragazzi, e la “vita-reato” da loro condotta, e invece sono utili solo a ridicolizzare ancor più tutto il contesto: penso alla famiglia di Nicki e Sam, e in particolar modo a quella preghiera fatta dalla loro mamma ad inizio film.

Il film è pertanto sterile, piatto e procede senza sussulti; non mette angoscia, o senso di inquietudine, soprattutto non fa riflettere e non lancia/lascia messaggi; non dà pugni sullo stomaco, come un suo coetaneo, invece, è riuscito a fare in modo quasi magistrale e con tale forza, e mi riferisco a Spring Breakers di Harmony Corine. Lo sguardo della Coppola rimane lontano, distaccato: anche se lo stile si avvale di più idee di ripresa, dalla webcam, alle telecamere di sorveglianza, e può risultare anche funzionale, rimane tuttavia spesso esageratamente freddo, e a campo lungo. E non so se quel primo piano del protagonista, che chiude il film, abbia voluto raccontare qualcosa di più interiore: perché sembrava vuoto, proprio come il film stesso.

VOTO 4