C'è sempre un motivo...

01.09.2012 14:28

Ci sono tanti rimpianti, dopo la partita di martedì sera dell’Udinese, squadra italiana che poteva arricchire la nostra presenza in Champions League, e per la quale il sottoscritto simpatizza da quando era bambino (causa un orologio da polso che amavo, e che scoprii essere proprio griffe del club friulano). La simpatia per l’Udinese è poi cresciuta nel tempo, andando di pari passo con la profonda stima verso una società che ha saputo esprimere più di ogni altra in Italia (ma anche a livello mondiale) un’idea di sport e di calcio unica e rara: valorizzando i giovani, il bel gioco, e mantenendo sempre un rigore finanziario importante, e quanto mai necessario per il mondo di questo sport, e per il Mondo in generale. L’Udinese nel corso della sua storia calcistica è riuscita a sorprendere e a regalare momenti bellissimi al suo popolo, ma anche a tutto il calcio italiano, onorando sempre, con il massimo impegno ogni competizione, ogni partita.

Lo ha fatto anche l’altra sera, nel ritorno dei preliminari di Champions, contro lo Sporting Braga: andando in vantaggio, e rischiando più di una volta di arrotondare il risultato non con uno, ma anche due e tre gol, mettendo di fatto in ghiaccio la partita. Ha rischiato molto anche in difesa, questo è vero, e vista complessivamente, non è stata una grande partita, giocata male da entrambe le parti, quasi a chi commetteva meno errori. Non mi sento di dire che l’Udinese abbia meritato di uscire, o che questo Braga sia una squadra da Champions. Si può analizzare la partita, si possono vedere gli errori tattici, ma soprattutto tecnici, commessi, si può addossare qualche colpa: io l’unica riflessione prettamente calcistica, di calcio giocato, che mi sento di fare è questa: quanto è mancato Vincenzo Iaquinta. Chi? Che c’entra Iaquinta adesso, che è una vita che non gioca più ad Udine? E invece è così. L’Udinese ha giocato nella sua storia tre preliminari di Champions, due negli ultimi due anni. E uno, nel lontano 2005 (se non vado errato): sempre contro una squadra portoghese, Sporting si, ma di Lisbona, e a quei tempi squadra di un buon spessore e livello intercontinentale, soprattutto rispetto alla matricola Udinese. In quell’occasione gli uomini allenati da Serse Cosmi annientarono l’avversario, grazie alle bombe lanciate verso la porta, da più direzioni, dal cecchino Vincenzo Iaquinta, un centravanti fisico, un punto di riferimento. Una pedina che è mancata a questa Udinese: per tenere palla, per far rifiatare la squadra, per farla salire, per stoppare e tenere il possesso di qualche lancio lungo, sparato in avanti nei momenti di affanno, e per fare qualche gol, come quelli numerosi sbagliati da Armero a tu per tu con il portiere.

Tuttavia l’Udinese esce dalla Champions. Possiamo dire che si meritava altra sorte. Possiamo dire che è stata sfortunata. Possiamo dire che esce a testa alta. Possiamo dire tante cose. Sta di fatto, che l’Udinese per la seconda volta consecutiva non riesce a partecipare alla competizione più importante. È questo il dato di fatto su cui riflettere. Guidolin ha affermato nel dopo gara che forse è lui un allenatore non adatto per questi palcoscenici. No, non è così: perché Francesco Guidolin è un signor allenatore, uno degli ultimi mestieranti del nostro campionato, uno che ti insegna a giocare a pallone nel vero senso dell’espressione. No, non si deve riflettere su questo: su quello che è successo in campo, su cosa si può migliorare; cioè lo si deve fare, ma in un secondo momento. Quello su cui Guidolin, ogni suo giocatore, ma anche tutti gli addetti ai lavori del nostro calcio, e anche noi, tifosi o meno, dobbiamo riflettere è perché l’Udinese per due anni consecutivi non sia riuscito a partecipare alla Champions, pur meritando. Semplice, perché l’Udinese non è squadra da Champions. Ma può esserlo da Europa League. Se guardiamo sotto una luce diversa il risultato patito martedì, se pensiamo che se qualcosa accade, è per un motivo, allora cerchiamo di interpretare questo motivo, o di proporne uno, e farlo diventare nostro. L’Udinese è una squadra da Europa League. Punto. È la dimensione europea che gli compete, e allora è giusto che onori al massimo questo impegno. Se la deve giocare, perché è quello che hanno dimostrato gli eventi, e perché può farlo. Come devono giocarsela Napoli, Inter e Lazio. È buffo il controsenso che regna all’interno delle squadre italiane: durante il campionato l’obbiettivo Europa League è un traguardo importantissimo, e si sputa sangue per ottenerlo; poi una volta ottenuto, l’anno successivo ci si presenta a giocare in questa competizione con un massiccio turnover, perché si vuole dare spazio al campionato, e si fa la figura dei fessi. Ma soprattutto dare spazio al campionato, naturalmente, non per vincere lo scudetto. No. Per cercare di arrivare in Europa League. Assurdo eh? Si innesta un circolo vizioso che ha dell’incredibile: le squadre italiane puntano tutto sul campionato, e una volta ottenuto l’obbiettivo Europa, se non si tratta di Champions, viene inizialmente festeggiato (se poi si tratta di squadra meno blasonate), poi palesemente snobbato. Io francamente mi sono stancato di vedere sempre puntare tutto sul campionato. Mi sono stancato a vedere le nostre squadre giocarsela tra di loro, per dimostrare chi è il più forte. Ma chissenefrega se il più forte è il Milan, la Juve, il Napoli, o l’Albinoleffe. Usciamo dalla nostra penisoletta. Andiamo a conquistare l’Europa. Andiamo a dimostrare a Spagna, Inghilterra, Germania, Portogallo, Francia, che siamo i più forti. Andiamo a dimostrarlo nei più importanti stadi del mondo. E non all’Adriatico di Pescara (con tutto il rispetto).

Udinese, non so se hai capito: non sei arrivata in Champions, perché devi giocare e vincere l’Europa League.

Per l’assalto alla coppa dalle grandi orecchie ci penseranno le regine del nostro calcio, Milan e Juve.