CIÒ CHE INFERNO NON È di Alessandro D'Avenia

03.12.2014 09:27

Ciò che inferno non è è il vero capolavoro di Alessandro D’Avenia. Non credo si possa considerare tale se lo pensiamo all’interno del panorama della nostra letteratura, e di quella mondiale, ma nel mondo del prof più popolare d’Italia, certamente sì. Perché l’autore ha alzato il tiro, pur rimanendo paradossalmente ad altezza ragazzo, adolescente. È a quel mondo turbolento, senza equilibrio, pieno di domande e poche risposte, che D’Avenia si rivolge: la storia del suo ultimo romanzo racconta degli adolescenti, della loro vita fatta di molti luoghi comuni e di stereotipi; ma sono vite inserite dentro storie più grandi: quella di Palermo, del suo glorioso passato, e del poco presente, di una città che ha perso la sua bellezza o l’ha nascosta, una bellezza nata e forgiata negli anni dal passaggio di tante civiltà con culture diverse; dentro la storia della mafia, che è padrona di luoghi e persone, di anime e catene che le imprigionano, che le guidano. Soprattutto nella storia di 3P, Padre Pino Puglisi, dal quale quelle vite attingono per riuscire a narrarsi una propria storia diversa. "Donpino" è un uomo il cui esempio ha un’eco tutt’oggi importante, tangibile. Rimbalza a più parti, nei cuori più buoni, sensibili, soprattutto nei cuori di chi una Grande Storia, la più grande di tutte, l’ha conosciuta, e l’ha fatta entrare dentro di sé: e si diffonde questa eco che è carità, servizio, abbandono in Dio.

Di questo e molto altro ci parla Ciò che inferno non è, un libro sul coraggio, il coraggio di scegliere: quella scelta umana, che delimita i confini di un Dio onnipotente.

Lo stile si fa più maturo e più ricercato, rispetto ai due romanzi precedenti: la struttura e il senso narrativo diventano significanti fondamentali per i tanti significati del romanzo. Alla fine di un capitolo ben preciso, la prima persona narrante presente in alcune parti del romanzo, si unisce con la terza di altre parti: “Quel ragazzo sono io sono. Federico”. Lo riconosce con coraggio D’Avenia. Lo possiamo dire anche noi, suoi lettori. Possiamo essere Federico: che ha scelto la vita scomoda di Brancaccio, a quella comoda dello studio in Inghilterra. Ha scelto di vivere, e non vivacchiare. Ha scelto di stare dentro una realtà, e non un'idea di sè. Ha scelto una vita vera. Non una finta. Per dirla con Frost “due strade trovai nel bosco ed io scelsi la meno battuta”.

È tutta una questione di scelte.

A quell’età lì, della quale D’Avenia è cantore privilegiato, le scelte pesano come macigni. Spesso ce ne rendiamo conto tardi. Quando le conseguenze hanno già attecchito su di noi, sul nostro carattere, sul nostro animo, sul nostro vivere quotidiano.

Per questo scegliere di leggere Ciò che inferno non è, può essere una piccolissima scelta. Ma, a parere di chi scrive, può essere giusta.

Un libro, o un’opera d’arte di altro genere, può essere oggettivamente valida o no, capolavoro o meno; sarà sempre importante nel momento in cui ne avvertivi la sua mancanza e ora sai che c’è, sentivi che non esisteva, ed ora esiste. Che doveva nascere. Insomma, quando diventa necessaria.

Ciò che inferno non è racconta una storia necessaria.

Perciò, grazie Prof 2.0