GRANDI E PICCOLE DELUSIONI
6) Lo Hobbit La desolazione di Smaug di Peter Jackson. Delude perché da questo film ci si aspetta il massimo, cinematograficamente ed artisticamente parlando. Io pretendo, tantissimo. Perché io amo Tolkien e tutto il suo mondo, ma soprattutto amo quella trilogia che ad inizi anni 2000 Jackson confezionò con grande stile e classe, riscrivendo i manuali di storia del cinema: e non per grandi rivoluzione tecniche o di linguaggio, che sono comunque presenti nei tre I Signori degli Anelli, ma per la portata puramente qualitativa dell’opera d’arte. Oggi invece dobbiamo misurarci con un trilogia fin qui ben al di sotto di quello standard lì, di quel livello: nemmeno possono essere paragonabili. Il secondo film della saga de Lo Hobbit (il libro è magnifico, lo consiglio caldamente a chi non l’avesse letto, al quale il film non rende il giusto merito) è addirittura inferiore al primo già di per sé non un ottimo film. Niente fraintendimenti, stiamo parlando di prodotti buoni, orchestrati bene, di altissima qualità tecnica e visiva. Ma rimangono tali, senza nulla più. Senza tutto quel di più sul quale la precedente trilogia aveva fondato il suo successo, commerciale ed artistico.
5) Django Unchained di Quentin Tarantino. In ordine è una delusione minore, perché le aspettative da parte mia erano alte, come per ogni film di quel geniaccio di Quentin, e in parte sono state anche centrate: ma purtroppo per un'altrettanta buona parte no. Tarantino manca ancora l’appuntamento con il capolavoro. Questo Django Unchained è addirittura inferiore a Pulp Fiction, Kill Bill-Volume 2, e soprattutto a Inglorious Basterds: ad oggi, per il sottoscritto, l’opera migliore firmata Tarantino, la più matura, la più esagerata, e paradossalmente equilibrata. Equilibrio che manca in questo suo ultimo film. Tarantino confeziona un’opera cinematografica ampia, importante, e ci offre prove di regia di altissimo valore: dentro ai generi, e fuori; dentro al suo cinema (che notiamo, purtroppo, a sprazzi) e fuori. Ma sale troppo, non tiene la nota, e stecca. Per la prima volta Tarantino, consapevole del suo status di grande regista, si compiace di quello che fa. E lo si nota nel film. Si specchia. Ostenta troppo. Si piace. Non piace. DJANGO UNCHAINED di Quentin Tarantino
4) La vita di Adele di Abdellatif Kechiche. Proclamato e sbandierato da più parti non solo come il film dell’anno, ma anche come vero e proprio capolavoro della storia del cinema, La vita di Adele di Abdellatif Kechiche, vincitore all’ultimo festival di Cannes, si proponeva a me come film dalle grandissime aspettative. Purtroppo deluse. Perché l’opera del regista franco tunisino è sì un buon film sotto molti aspetti, e altrettanto può considerarsi un capolavoro qua e là, in dei frammenti, alcuni pezzi, piccoli e significativi dettagli: ma guardandolo nel suo complesso, “a campo lungo” per usare un lessico proprio del cinema, resta un prodotto incompleto, dove alcune scelte infelici e inadeguate avvelenano tutto il buono seminato qua e là, appunto. È un film “spinto” oserei dire, aggettivo che non solo è un chiaro riferimento alle molteplici e lunghe scene di sesso presenti nella pellicola, ma anche adeguato per descrivere il lavoro di Kechiche, che spesso esagera, esasperando e annoiando, ma soprattutto, errore più grave, sfigurando la realtà, della quale egli stesso è uno dei massimi narratori del cinema. LA VITA DI ADELE di Abdellatif Kechiche
3) Bling Ring di Sofia Coppola. Questo invece è un film pessimo, insufficiente. Qui le mie speranze di poter vedere qualcosa di buono erano tutte relegate 1) allo splendido soggetto del film, basato su una storia vera, e che vedeva come protagonisti dei ragazzi, come può considerarsi ancora il sottoscritto, 2) Emma Watson, attrice che apprezzo fin dai tempi di Hermione, 3) a quel “Coppola”, indice di rilevanza cinematografica; non a “Sofia”. Il film è sterile, piatto, e procede senza sussulti; non mette angoscia, o senso di inquietudine, soprattutto non fa riflettere e non lancia/lascia messaggi; non dà pugni sullo stomaco, come un suo coetaneo, invece, è riuscito a fare in modo quasi magistrale e con tale forza, e mi riferisco a Spring Breakers di Harmony Corine. Lo sguardo della Coppola rimane lontano, distaccato. E non so se quel primo piano del protagonista, che chiude il film, abbia voluto raccontare qualcosa di più interiore: perché sembrava vuoto, proprio come il film stesso. BLING RING di Sofia Coppola
2) The Canyons di Paul Schrader. Scritto da Bret Easton Ellis. Era importante dirlo fin da subito chi fossero entrambi gli autori di questo “obbrobrio” cinematografico. Perché sono due pezzi da novanta. Quindi l’assurdo è ulteriormente maggiore. Il film è amatoriale, debole, squallido, banale, vuoto, privo di un qualche cosa di artistico, che sia estetico o cinematografico. Un esercizio di stile, a tratti ben diretto sì, ma malamente scritto, malamente recitato. Malamente partorito.
1) L’uomo d’acciaio di Zack Snyder. È la delusione più cocente del mio 2013, perché apprezzo tanto Snyder, apprezzo tanto Goyer, ma soprattutto amo Christopher Nolan, produttore e nume che stava dietro questo progetto. Un film che cade da lassù dove il mio pensiero e quello di molti, soprattutto dopo la visione del bellissimo trailer, lo avevano relegato: allo status di capolavoro. Che, quindi, fa un bel tonfo, clamoroso per quanto inaspettato. Il perché lo spiegavo ampiamente qui L'UOMO D'ACCIAIO di Zack Snyder