HUNGER GAMES di Gary Ross
Guardando Hunger Games non può non venire alla mente un altro film, forse meno conosciuto ai più, Battle Royale di Kinji Fukasaku, con il più famoso Takeshi Kitano nel cast artistico. L’idea di base è la medesima: si estrae a sorte un gruppo di ragazzi, che sarà costretto a giocare a un crudele gioco di sopravvivenza nel quale dovranno uccidersi a vicenda per difendere la propria incolumità al fine di poter essere eletti vincitori e poter ritornare così a casa. Riconoscimento di cui potrà fregiarsi solo l’ultimo sopravvissuto. Diverso è lo sviluppo che gli autori dei rispettivi romanzi, da cui sono tratte le due opere filmiche, danno a questa idea. I moventi sono entrambi curiosi: da un lato gli Hunger Games, creati per evitare il fomento di future guerre dalla possibile valenza “catastrofica” per l’umanità, e per questo mostrati anche in mondovisione, come un moderno reality; dall’altro la Battle Royale, per contrastare un mondo dove i giovani stanno prendendo sempre maggiore sopravvento sugli adulti, e dove, di conseguenza, è aumentata a livelli vertiginosi la criminalità giovanile. Combattere la violenza con la violenza. Ricorrere al sangue per evitare futuri spargimenti di sangue. Suggestiva ambiguità di base, che è al centro di entrambe le pellicole, che le rende potenti armi per colpire, e così incrinare le certezze dello spettatore, suscitando riflessioni importanti. Purtroppo, però, il film diretto da Gary Ross, non colpisce appieno il bersaglio, accontentandosi del bordo più esterno. Punteggio basso, del quale, sinceramente, ci possiamo fare ben poco.
La trama, il trailer, Jennifer Lawrence, Woody Harrelson, Stanley Tucci: ottimi ingredienti per tirar fuori un altrettanto ottimo film. Rimane invece, date le potenzialità enormi offerte da questa trama, un’occasione un po’ sprecata. Sprecata a livello di sceneggiatura innanzitutto, ma anche di regia, in alcune circostanze. È vero che il film gira bene per le sue due ore e mezzo di durata, e tiene alta l’attenzione con un buon ritmo. Ma non ha peso, né emotivo, né tantomeno drammatico: solo l’incipit regge bene la portata di questa storia, dove traspare una cura verso i dettagli, per i gesti semplici, per le lacrime e gli affetti, per una realtà povera, maledettamente tragica che va a collocarsi come simbolo di un mondo completamente alla rovescia, privo di senso. Ci chiediamo, quindi, il perché Katniss, la protagonista, e la sua famiglia, vivono in un mondo così. Ross non sfrutta un flashback- figura linguistica di cui comunque si serve, anche bene, nel film- per mostrarci il movente, fondamentale per l’intera storia, ma che di fatto scopriamo attraverso una specie di spot mandato su un teleschermo, durante il momento della “mietitura”, quando vengono sorteggiati i ragazzi del distretto 12 che parteciperanno agli Hunger Games, tra cui la stessa Katniss, che si offre volontaria al posto della sorella minore. Gesto anche questo che arricchisce di valore una prima parte decisamente buona. Poi assistiamo ai preparativi che precedono i giochi, che avvengono nella parte di mondo ricca e invasata da questo reality. Ma perdiamo Katniss, non riusciamo ad inquadrarla bene e il regista fa fatica a seguirla e a darle forma in modo chiaro; e chi entra in scena, come il suo mentore, o gli altri 23 ragazzi che parteciperanno agli Hunger Games, hanno pochissima caratterizzazione, e restano personaggi poco approfonditi, neutri. Dispiace vedere sprecato in un ruolo così debole un attore della portata di Woody Harrelson: non dispensa consigli, non dispensa perle di saggezza da vero mentore, non dispensa esperienza di giocatore che è riuscito a vincere gli Hunger Games, così da non trasmettere né curiosità né empatia allo spettatore nei suoi confronti e verso questi fatidici giochi. Poi inizia la battaglia. E il film si perde quasi completamente. Non voglio essere frainteso, il tutto è reso bene, anche al di sopra dello standard, ma non fa niente per eccellere. E il paragone con Battle Royale si fa pesante, perché Hunger Games non riesce a reggerlo. Manca un po’ di violenza, manca il vero dramma dentro l’arena, ma soprattutto fuori: non si inquadra e non si dà importanza alle reazioni della gente, di quella ricca, e di quella dei distretti più poveri, o quando lo si fa, questo avviene in modo caotico e confusionario: Ross costantemente fissato su inquadrature strette, si dimentica della carica drammatica di un totale o di un piano sequenza.
Manca Battle Royale, ma manca anche The Truman Show. Hunger Games, dove il reality show viene portato alle estreme conseguenze, non scalfisce, non arriva e non oltrepassa; critica il sistema, ma lo fa sottotono. Quasi con paura. Truman, invece, quella soglia era riuscito a varcarla. Con coraggio. “Casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte”.
VOTO 6