L'EPICA DELL'ORDINARIO LEICESTER

03.05.2016 15:53

C’è sarcasmo, sfottò, punte di ironia, e manifesta superiorità quando, anche basiti, ti chiedono: ma come fa a piacerti il calcio? Non è una domanda esclusiva della categoria femminile, che ci sta, non per via dei pregiudizi ma per interessi altri, di natura quasi genetica; ma è frequente anche tra amici, e conoscenti, anche di quelli intelligenti, o a volte pseudo intellettuali, ma comunque persone per bene, a posto, insomma: con solo quel grande pregiudizio verso il gioco “di 22 individui che corrono dietro un pallone”. Fa schifo a priori. E parlare di calcio è esercizio da primitivi, rozzo, e di poco conto. Certo, paragonandolo a tutt’altre discussioni, è facile arrivare a tale conclusione. Ma, invece, estraendolo dalla logica del pregiudizio, del sospetto, dal contesto catastrofico del mondo, o dall’ottimismo imperante di veri e necessari valori, questo sport può raccontare più di quanto tutta l’attenzione mediatica e asfissiante che ha intorno effettivamente non dica: perché causa solo nausea. Nell’equilibrio di chi lo ama, ma non lo rende una Fede, e di chi non lo ama, ma ne intuisce l’oggettiva bellezza, sta la storia di Claudio Ranieri e del suo Leicester: campioni d’Inghilterra dopo 131 anni dalla nascita del club.

Il calcio può raccontare queste storie, intessute di trame improbabili, fatte da personaggi caratteristici e quasi sconosciuti, semplici, e dal lieto fine più conciliante e perciò tanto necessario. La mia memoria ricorda le imprese della Grecia che vinse gli europei del 2004, o del Montpellier, che conquistò il titolo francese nella stagione 2011/12, davanti ad un certo PSG di Carlo Ancelotti.  

Quindi, ritornando a quella domanda. Se dovessero chiedermi oggi come possa amare il calcio, io racconterò la storia del Leicester di Ranieri. Di una squadra “operaia” che è andata in paradiso. Di un gruppo di uomini che hanno sognato insieme, e che hanno reso quel sogno realtà per milioni di persone: di Vardy e Morgan, che potevano essere destinati ad altri lavori e l’uno ha fatto il capocannoniere della squadra, l’altro la saracinesca della difesa con il vizio del gol pesante; di Mahrez costato una baggianata e laureatosi miglior calciatore di questa Premier; di Kantè, motorino inesauribile del centrocampo che copre ogni metro di campo, sia in copertura sia in fase offensiva; di Schmeichel, figlio d’arte di quel Peter per molti considerato il più grande portiere di sempre (sicuramente uno che non passava inosservato: ah tra l’altro, fu impresa sportiva anche la sua con la nazionale danese nell’europeo del ’92 quando fu addirittura ripescata), tra una sicurezza invidiabile tra i pali e le parate miracolose; di Drinkwater, Fuchs, Huth, Okazaki, Simpson, Albrighton, Ulloa. Racconterò di questi uomini, allora.

Racconterò di una squadra la cui vittoria del campionato era pagata 5000 volte la posta. Una squadra che aveva come obiettivo la salvezza. Per cui sarebbe stato già qualcosa di grande arrivare a salvarsi con ampio anticipo; o si sarebbe parlato di sogno anche raggiungere un semplice piazzamento in Europa League; si sarebbe usata la parola “miracolo”, quale altra altrimenti, per il Leicester in Champions League. Invece no, gli uomini di Ranieri la Premier League l’hanno vinta, e con due turni d’anticipo, dominandola in lungo e in largo, creando questo successo sia su una base di natura tattica e puramente calcistica, sia sulle relazioni umane e di spogliatoio. Che parola usiamo adesso, quindi? Quali aggettivi per cercare minimamente di inquadrare quest’impresa?

Qui non si tratta di raccontare una storia. Qui si tratta di tramandare un racconto Epico: di raccontare di un comandante intelligente ed astuto; di eroi veri ai suoi ordini; e di valori reali. Il Leicester di Ranieri insegna al mondo del calcio che questo sport è molto di più di soldi, e contratti milionari. È lavoro, sacrificio, coraggio, unione, passione, smisurata disciplina: allenamento, corsa, obiettivo comune. È intelligenza e rigore tattico. È polifonia. È condivisione. Insegna al mondo in generale e ai pochi avvezzi che il calcio è lo sport più bello: perché può rendere possibile l’impossibile, perché nel calcio Davide può battere Golia, perché nel calcio il piccolo Leicester può vincere uno dei campionati più difficili d’Europa. Solo nel calcio entrano in gioco così tanti fattori che se da un lato ne identificano la complessità, dall’altro ne costituiscono un ventaglio illimitato di possibilità, di speranze, di sogni, appunto. Tutti gli altri sport sono, chi in misura maggiore, chi minore, più matematici, logici, precisi, chiari, netti. Il paradosso del Leicester di Ranieri è aver mostrato nella complessità di questo gioco, con tutta la miriade di dettagli da curare per raggiungere certi traguardi e vittorie, la semplicità nel come riuscirci. E lui, King Claudio, è l’incarnazione di questa semplicità, in una professione popolata da guru intoccabili, o modernisti inconcludenti.

Questo titolo è l’impresa semplice di Ranieri. È riportare il calcio all’ordine naturale, al suo senso, alla sua purezza: come gioco, spettacolo, intrattenimento, come emozioni condivise. E così, in un certo senso, è riportarci la vita. Lo sport ha valore quando le sue storie diventano metafora di storie di vita: quando invece che diseducare, educa alla Vita.

Questa storia Epica scritta da Ranieri e i suoi ragazzi ambisce a diventare simbolo. Di speranza, di lotta: “Provateci, provateci fino in fondo. Credeteci”. Questa la dedica di Claudio Ranieri appena campione: lui, l’eterno secondo che alla sua prima volta ha già raggiunto un apice a cui tanti suoi colleghi non potranno mai arrivare. La dedica è per tutti: per dirci che questa storia va letta così, e non solamente relegata a “impresa sportiva”. Va letta come insegnamento, va interpretata per il suo valore, e il suo messaggio. Va amata per il significato che vuole tramandare. È l’epica dell’ordinario che diventa straordinario: e non riguarda solo una piccola squadra di una città a 160 km da Londra. Riguarda tutti.

In questo sta l’impresa di Ranieri e delle sue Foxes. Scusate se è poco.

Grazie.