MOONRISE KINGDOM- UNA FUGA D'AMORE di Wes Anderson
È Wes Anderson. E probabilmente Moonrise Kingdom è il più Wes Anderson di tutti i film di questo regista. Pur raccontando storie apparentemente semplici, nelle quali ogni contenuto anche più impegnativo è riportato sotto la dimensione fiabesca, il cinema di Wes Anderson è particolarissimo, è suo e specificatamente suo, ed è difficile: difficile da capire, a volte difficile da vivere emotivamente, perché difficilmente lo spettatore riesce ad entrare in empatia con le sensazioni che muovono il mondo interiore di questo autore, e soprattutto in sintonia, con il suo modo eccessivo e a-direzionale di rappresentarlo. E guardando Moonrise Kingdom di fatto entriamo in questo suo nuovo mondo, creato da Anderson per noi, e restiamo spesso estasiati e ammirati, per la dolcezza delle immagini, per i suoi movimenti di macchina, per i suoi tableau velatamente poetici; a volte, invece, frastornati e distaccati.
La pellicola è una fiaba grottesca, che, nella sua essenza, racconta l’avventura dell’amore, e lo fa a misura di bambino, perché l’avventura è vissuta proprio dai due protagonisti della storia, quasi come fosse un gioco, ma serio: da scoprire, da esplorare, da apprezzare, ma soprattutto, per l’appunto, da giocare. Sam è un ragazzino di un campo scout dal quale una mattina decide di “evadere”: scappa perché, orfano, non ha più trovato una famiglia che lo accogliesse veramente, e perciò si convince del fatto che può sentirsi libero. Suzy è la maggiore di quattro fratelli che vivono con i genitori nella stessa isola su cui staziona l’accampamento degli scout: scappa anche lei, perché non si sente più parte vera di quella famiglia, si sente presa in giro, additata come strana, perciò a disagio in un ambiente che le sta stretto, il suo binocolo che porta sempre con sé, continuamente le mostra orizzonti nuovi e “spazi vitali” non conosciuti e da poter esplorare. L’incontro con Sam avvenuto un anno prima rispetto al tempo della storia del film, durante uno spettacolo teatrale, è l’occasione giusta per attuare la fuga: inizialmente solo metaforica, di cuore, attraverso una corrispondenza epistolare, poi concretamente. I due tra spiagge e foreste, tra storie intorno al fuoco e bagni, si conoscono, si piacciono: vivono la loro vita, “loro vita” perché è come per loro dovrebbe essere. E non risulta pertanto un’esagerazione quando, quasi come fosse un gioco, decidono di sposarsi, rivendicando fortemente quel desiderio di famiglia ai quali per motivi diversi era stato precluso. Un tema, quello della famiglia, sempre costantemente e fortemente presente nelle opere di Wes Anderson, con il quale, in questo caso, si misura, in modi diversi, il mondo degli adulti del film, che vede come esponenti i genitori di Suzy, i coniugi Bishop, ovvero Bill Murray e Frances Mcdormand, il poliziotto interpretato da un insolito, ma piacevole , Bruce Willis, e il capo scout a cui dà vita il bravo Edward Norton, fino ad arrivare a Servizi Sociali, una Tilda Swinton che qui richiama alla mente la strega di Narnia, che interpreta questo personaggio senza nome proprio, ma con un’etichetta precisa, proprio a rappresentare un vero personaggio di una fiaba, con un suo ruolo ben preciso: un mondo, questo degli adulti, tratteggiato dal regista con delle sfumature, ma che sanno essere anche, a volte, marcatamente negative. Adulti che inizialmente si trovano in difficoltà a gestire la situazione, il disordine provocato dal mondo dei giovani, perché “non competenti”, come genitori, come capi scout, come poliziotti, come Servizi Sociali, come persone, come adulti. Poi, il susseguirsi delle vicende e gli scontri, anche duri, con la verità dei piccoli, permetteranno anche ai grandi di cambiare, di crescere, di vedere le cose in modo diverso e di fare scelte importanti: giuste. Verso un perfetto e coerente “happy end”.
Con la leggerezza che compete al tono fiabesco, Anderson racconta molto, critica anche, e molto più pesantemente che in altre occasioni, e trasmette tanto: un po’ quello che ogni opera d’arte dovrebbe fare. Perché Moonrise Kingdom è un’opera d’arte, ma come se ci fosse raccontata da un bambino, più che ad un bambino. Non a caso a descriverci la bellissima, elevata e potente musica del compositore britannico Benjamin Britten che apre e chiude il film, è proprio la voce di un bambino.
VOTO 8