Non c'è neanche il calcio
Un po’ di tempo fa avevo scritto un post che diceva, in estrema sintesi, che lo sport è come la vita. Ebbene sì, lo sport è come la vita: come la vita, sia nei suoi aspetti più positivi, belli, ma anche, purtroppo, in quelli negativi. E se si parla di sport e a questa parola associamo il termine “negativo”, spesso il risultato è sempre quello, cioè il calcio.
Il calcio è come la vita. A volte -troppe poche, ma ancora ogni tanto sì- racconta storie di vita incredibili, di persone diventate degli eroi con un pallone tra i piedi, di ragazzi che hanno coronato i propri sogni fatti da bambini, di valori trasmessi con un abbraccio, con un gesto di fair play, con una vittoria, frutto di sacrificio, lavoro, impegno, o trasmessi attraverso parole di un’intervista, attraverso lacrime e sorrisi concessi al pubblico. A volte, però, il calcio racconta storie tristi, squallidi fenomeni, eventi grandi nella loro stupidità: eh già, come la vita, ma nella sua accezione più bassa, più terra terra, o addirittura sotto terra, dove non si respira. E si muore. Dentro.
Mi riferisco da un lato all’episodio dello striscione esposto dalla curva dei tifosi juventini durante il derby con il Torino. Usare come pretesto di uno sfottò una tragedia nella quale sono morte delle persone, è qualcosa di veramente disumano: disvalore, disanimo, distutto. Perché è nulla, è vuoto. È difficile trovare parole e spiegazioni per commentare, o significati per capire o imparare: imparare cosa? Che sono cose che non si devono fare, e quindi nemmeno vedere negli stadi? Ma non lo sappiamo già? Dovrebbero essere codici etici e morali insiti nella natura stessa dell’uomo, nella sua coscienza, parte dell’essere umano, come lo sono allo stesso modo il cuore e il cervello. Per questo se mancano tali valori, ci si chiede, ma stiamo parlando ancora di essere umani? Come può un uomo offendere la morte di un suo simile? Si striscia, come vermi, e non ce ne rendiamo conto. E esporre uno striscione del genere allo stadio vale la multa di appena 10000 euro, come dire “uno sputo” per una società di calcio di serie A: vale quanto un insulto dentro al silenzio di uno spogliatoio ad un dirigente della squadra avversaria. Stesso valore, o poco più, per lo striscione della curva del Verona nei confronti di Morosini, vale addirittura meno offendere Pessotto da parte dei tifosi milanisti, chissà forse perché grazie a Dio Gianluca è ancora vivo. Episodi, questi, a cui assistiamo con una certa costanza nei nostri stadi: perché la fede per la propria squadra, l’attaccamento alla maglia, ai colori della bandiera, vale più dell’uomo, se questo appartiene a tifoseria contraria. Manco nelle guerre di religione si possono avanzare discorsi del genere, e la religione forse è un tantino più importante e preponderante nella vita di una persona. Incredibile! Qui non si devono fare multine da un paio di spiccioli, ma neanche multone da mandare in fallimento la società: con i soldi non si ripara tutto, e non si riparano certe cose, non si ripara la dignità. Con i discorsi del presidente di turno, che ne prende le distanze, e si vergogna per quanto è successo, nemmeno. Perché sono prassi a cui abbiamo sempre assistito, e che puntualmente non hanno portato a nulla. E intanto questi fenomeni continuano ad accadere allo stadio. Sempre. Chi deve essere penalizzato è il tifoso. Ma non con la prigione, con una multa di soldi. Quando si ha a che fare con estremisti di questo genere, bisogna colpire quello che hanno più a cuore: la propria squadra. Se amano più la propria squadra che la memoria di un loro simile defunto, ebbene la pena deve far leva su questo amore. La curva della Juve espone uno striscione del genere? Partita sospesa, subito, e vittoria a tavolino, anche per 10 a zero, per la squadra avversaria, nello specifico, il Torino. Secondo me, così facendo, ma anche adottando misure più drastiche di questa, quel tifoso ci penserà due volte prima di ripresentarsi allo stadio con tale striscione: occorre che si senta lui stesso in colpa della sconfitta della propria squadra, che si senta “traditore” di quell’amore e di quella fede-fiducia che lo unisce ai colori della propria bandiera.
Perché poi se non blocchiamo questi eventi che hanno clamore mediatico, le ripercussioni le vediamo, purtroppo, anche nel mondo del calcio meno conosciuto, quello dei campetti di provincia, dei campionati minori, quello dei ragazzi: come un’onda si propagano, danneggiando mentalità e coscienza anche dei giovani, che dovrebbero praticare sport per crescere, per divertirsi, per fratellanza. Quanto successo in un campo di calcio in Olanda, in una partita di calcio di ragazzi Under 18 ha dell’incredibile: il guardalinee, causa una decisione a quanto pare dubbia, è stato inseguito a fine partita e picchiato a morte da tre giocatori della squadra offesa da questo presunto torto arbitrale. Si uccide un uomo perché ha sbagliato? Cioè non esiste nemmeno per un serial killer la pena di morte nel nostro paese (e nelle nostre coscienze, in teoria), e invece dei ragazzi di 16 anni la praticano per un guardalinee che, chessò, l’errore più madornale che possa aver fatto è stato annullare un gol valido, che poteva voler dire anche vittoria, tre punti, e magari tò anche la prima posizione del campionato –e chissenefrega!-. Dicevo prima, “come può un uomo offendere la morte di un suo simile”. Ma qui siamo andati anche oltre. “Si striscia, come vermi, e non ce ne rendiamo conto”. Ci educano come tali, e non ce ne rendiamo conto! Di fronte a tale avvenimento non c’è multa che tenga. Non c’è discorso dai vertici calcistici e dello stato, che tenga. Non c’è articolo di giornale, o post, come questo, che tenga. Di fronte ad un avvenimento così grave, il mondo del calcio si dovrebbe fermare: per un po’, se tale fenomeno non dovrebbe più ripetersi. Per sempre, se lo squallore e il puzzo di questa merda in cui naviga dovrebbe solo aumentare.
Il calcio è come la vita. È vero. Ma se non c’è nemmeno la minima traccia di vita, allora non c’è neanche il calcio.