SOPRAVVALUTATI
In questa categoria rientrano sia i film sopravvalutati da me, prima dell’avvenuta visione, sia quelli che restano sopravvalutati da pubblico e critica, a posteriori.
Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate di Peter Jackson, ovvero come dissacrare la trilogia capolavoro e pietra miliare de Il Signore degli Anelli. Ai quei tempi, con quelle tre opere artistiche, Re Jackson divenne il Michelangelo del Cinema, per aver dipinto la Cappella Sistina della Settima Arte; divenne Omero, per averci permesso di respirare epica tra i fotogrammi del suo film; divenne un maestro, per aver insegnato cinema di livello altissimo, intaccabile; divenne compagno di viaggio, per aver parlato in modo privilegiato ai nostri cuori. Oggi, con l’ultimo pessimo film di una pessima trilogia, nata male, nata al momento sbagliato, il Re cade, e perde la corona: scompare dietro una macchina produttiva soffocante, totalitaria, dittatrice. Il risultato è un’accozzaglia di videogioco, trashate assurde, situazioni improbabili, che non c’entrano niente con la sua poetica, e con il mondo di Tolkien. Non c’entrano con il Cinema, con l’Arte. Peccato.
Trash di Stephen Daldry, è un altro film da cui mi aspettavo di più, vista la tematica, il regista, la storia, la location. Anche qui si scade troppo facilmente nella retorica più spicciola, nelle situazioni più improbabili per tre giovani ragazzetti, costretti a muoversi in una sceneggiatura che pretende di raccontare la realtà, quando effettivamente gli fa il verso, esagerandola, e straniando lo spettatore. Funziona poco, se non qualche scena dal forte impatto emotivo. Trash, lo dice il titolo, è una trashata al pari de Lo Hobbit: è paccottiglia, roba di cui non sapere cosa farci. Luccicante, ma senza valore.
Ora qualche titolo del quale non ne ho intuito l’entusiasmo della critica. Tra questi ci sono dei buoni film, intendete, ma non così esaltanti insomma.
Oculus di Mike Flanagan. Un horror sicuramente intelligente, con buone pretese, e anche qualche spunto di rilievo. Ma non prende, ridicolizza momenti e situazioni, e soprattutto fa rabbia vedere inseriti qua e là spunti narrativi degni di una grande sceneggiatura e, quindi, di un possibile eccelso film, rimanere tali, cioè degli spunti e basta: accantonati, non sviluppati. Lasciati morire: così muore la qualità complessiva dell’opera. Purtroppo.
Lei di Spike Jonze. Tante possibilità. Occasione unica e rara anche di parlare di capolavoro. Alla fine invece, come capita spesso per i film di Jonze, ci resta tra le mani tanta qualità, ottima e gradevole fattura, ma poca sostanza e potente contenuto. Una storia talmente originale da diventare paradossale, tanto esagerata che diventa quasi grottesca, che non ti aiuta a immedesimarti, che vien quasi da ridicolizzarla, invece che capirla, comprenderla, amarla, elaborarla. Potrebbe insegnarci molto, ma non lo fa; potrebbe dire tanto su tanto, non solo sull’amore, ma anche sul rapporto ambiguo e sottile tra uomo e tecnologia, ma non lo fa. O forse lo fa, ma non ce ne accorgiamo del tutto. Sicuramente è un film che vive di momenti di cinema altissimo e anche struggente, ma sono alti e bassi, e alla fine, un obbiettivo, un arrivo, un punto di fuga per tale ardita prospettiva dell’amore, non c’è. Non conclude veramente, il discorso non cade in qualcosa di preciso. Superlativo Joaquin Phoenix, questo sì.
X-Men – Giorni di un futuro passato di Bryan Singer. Osannato dai nerd-critici, e da tanto pubblico. Io mi chiedo solamente, vedendo il film, ma anche dopo: devi sventare una minaccia, impedire che una pistola scarichi il colpo, e farlo agendo in estrema velocità, per impedire che un personaggio si macchi di tale crimine e innescare una guerra futura che sarà l’apocalisse per gli uomini X, e cosa fai? Liquidi in 2 secondi l’unico supereroe (dotato di velocità assurda, che solo un attimo prima avevi mostrato in azione riuscire a fare cose pazzesche) che potrebbe farlo? Ma dai... ma chi scrive certe cose? Nemmeno nei peggior cortometraggi amatoriali girati da bambini con una videocamera in mano, riuscivano ad essere così assurdamente inverosimili. Basta questo scivolone per giudicare un film? Avanza, altroché. E poi gli stessi già citati critici parlano dei buchi di sceneggiatura di Nolan. Altro che buchi questi qua. Crateri planetari.
Guardiani della galassia di James Gunn. Com’è che lo definiscono? Il miglior cinecomic. Per carità ogni tanto fa ridere (non tanto quanto Tony Stark in un qualsiasi Ironman, per dire), ogni tanto ha i suoi momenti action ben fatti, e una buona caratterizzazione dei vari personaggi, soprattutto nelle interazioni tra loro (anche se ho trovato superiore l’affiatamento degli eroi in The Avengers), ogni tanto fa passare qualche messaggio: ma basterebbe citare i vari Batman di Nolan, Watchmen di Snyder, Spider Man (i primi due, o solo il due) di Raimi, per capire a che livello ci troviamo in questo caso. E poi siamo stanchi delle solite storie, con l’arma superpotente che rimbalza in qua e in là, e tutti la vogliono e nessuno la piglia come Suor Camilla, con il cattivo che non fa paura nemmeno a mia nonna, con quello che si sacrifica e non muore e basta, ma rinasce, e con scene madri viste e riviste. Non si può certo pretendere da un comic, ma renderlo un tantino più cine, è chiedere troppo? Almeno proviamo a dare un po’ di spessore, a dare un senso, anzi sensi narrativi; soffermiamoci, scrutiamo, parliamo con il pubblico. Diciamo qualcosa, non solo “Io sono Groot”.