Terza parte. I top 3

17.01.2013 14:22

MIGLIOR ATTRICE:

3) Charlize Theron, per Young Adult di Jason Reitman. Per quanto mi riguarda una Theron insolita, diversa rispetto ad altri ruoli dove ho potuto ammirarla e apprezzarla. Qui si cala con personalità in un personaggio alquanto particolare, ma di fatto, piuttosto comune nel mondo di oggi: un eterno bambino, anzi, adolescente, che non cresce, non vuole farlo, che non lo desidera, o non gli riesce. Beve coca cola a tubo, si preoccupa di come possa apparire, si rapporta in modo superficiale con i ragazzi, le sue aspettative di vita non sono il lavoro, né la famiglia, né altro di un adulto, ma quelle di un’adolescente: questa è la donna di Young Adult, apprezzabile e sempre graffiante commedia di Jason Reitman. Una donna lontana, ma resa alla perfezione, dalla grande Charlize Theron.

2) Elizabeth Olsen, per La fuga di Martha di Sean Durkin. Forse molti non sanno di chi si tratta. Neanche il film è tra i più famosi di questo 2012. Lei è la sorella minore delle più famose gemelle Olsen. Il film è tra i prodotti più interessanti di questo anno, ma non così impeccabili. Come accadeva nel 2011 con Un gelido Inverno, anche La fuga di Martha ci racconta un’America meno conosciuta: nascosta, atipica, diversa, fuori dagli stereotipi. Ma lo fa con meno eleganza, con meno trasporto emotivo, con meno riguardo, di quanto aveva saputo fare il film di Debra Granik con una splendida Jennifer Lawrence (quella di Hunger Games, per intenderci). Tuttavia l’opera di Durkin ha un vero e proprio punto di forza nell’interpretazione che Elizabeth Olsen offre per dare vita a Martha: innocenza, schizofrenia, ambiguità, felicità. Martha è personaggio controverso, costituito da opposti, da contrasti forti. Ci ricorderemo quegli sguardi, quegli occhi persi nel vuoto, i silenzi, ma anche le esagerazioni portate al limite della normalità, di un’attrice che farà parlare di sé. Almeno lo spero.

1) Rooney Mara, per Millenium – Uomini che odiano le donne di David Fincher. Dimenticatevi la Rooney Mara, ragazza innocente, di rigore morale, di The Social Network. Nel nuovo, grandissimo film, di Fincher la Mara si trasforma, per dare respiro vitale cinematografico a quel personaggio tanto complesso e strutturato nella sua psicologia, uscito dalla penna di Stieg Larsson: Lisbeth Salander, della trilogia Millenium. Detective meticoloso e appassionato del suo lavoro, hacker d’eccezione, Lisbeth è una figura complessa: solitaria e tormentata, vive di passioni fugaci, che non la portano a riempire un’esistenza difficile, fatta di compromessi dolorosi, e di sofferenza fisica, tangibile. Grazie a lei, Fincher può interrogarci anche in modo pesante, su tantissime questioni: come quel concetto di diversità, che oggi più che mai, si esprime dall’apparenza, dall’aspetto esteriore. Lisbeth, cioè Rooney Mara: non la riconosciamo più l’attrice, e non solo per l’aspetto fisico, ma per tutto quello con cui questo personaggio le ha chiesto di misurarsi, in ogni situazione, in ogni sentimento, in ogni tormento interiore, in ogni violenza subita che lascia un segno tangibile, evidente, nel suo animo: vediamo questi segni, Rooney Mara li mostra con una forza impareggiabile, unica, spietata, maledettamente autentica, vera, reale. È senza alcun dubbio l’interpretazione femminile migliore di questo 2012.

 

MIGLIOR ATTORE:

3) Gary Oldman, per La Talpa di Tomas Alfredson. Premio lui, per premiare tutto un cast d’eccezione, e sicuramente sopra la media. Intenso, meticoloso, carismatico, di una potenza interpretativa unica, sia che si misuri con un primo piano, sia in un totale: interpreta il suo ruolo, ma da grandissimo attore qual è (da diverso tento non cos’ bravo), interpreta il cinema e il suo linguaggio. Attori di questa portata è sempre un piacere ammirarli all’opera.

2) Brad Pitt, per Moneyball - L’arte di vincere di Bennet Miller. Un Pitt, anche in questo caso, insolito, alle prove con un personaggio non così al di sopra della normalità, ma scritto in modo impeccabile in sceneggiatura, e dalla necessaria credibilità: credibilità che l’attore americano riesce a dare completamente, in modo sublime, in ogni dettaglio, in ogni movimento usuale, in ogni circostanza, sia che faccia il manager di una squadra di baseball, sia che faccia il padre, o l’amico. Brad Pitt e il suo personaggio, Billy Bean, sono il centro principale della vicenda: è forse una banalità questa, se si parla, appunto, del protagonista, ma spesso accade che non sia così. Billy Bean è un vero protagonista, perché è Pitt che l’ha reso tale.

1) Michael Fassbender, per Hunger di Steve Mcqueen. La storia raccontata e il regista gli impongono di affrontare una prova d’attore davvero dura, tosta, quasi impossibile se pensiamo a quel lunghissimo piano sequenza di 20 minuti di dialogo. Ma Fassbender è straordinario, sublime, è altro da sé, è fuori dalla sua persona, è Bobby Sands, appartenente all’organizzazione dell’IRA, che per ribellarsi ai soprusi subiti in carcere, decide di attuare uno sciopero della fame, causa che lo porterà alla morte. Dimagrisce vistosamente, soffre altrettanto vistosamente con il suo personaggio, che viene indagato con scrupolo e attenzione da McQueen: sguardo che non disturba Fassbender, anzi, del quale si serve per creare. Semplicemente, creare: qualcosa di suo, della sua arte. A ricordarci che essere attori, non vuol dire essere marionette nelle mani dei registi, ma essere artisti, che, in quanto tali, collaborano con altri artisti. Un vero artista l’attore di questo 2012, che ricordiamo anche per i ruoli in Shame dello stesso McQueen e soprattutto in Prometheus di Ridley Scott.

 

MIGLIOR REGIA:

3) Christopher Nolan. Quando c’è lui, lo si nota. Sempre. Il prestigiatore del cinema moderno, l’autore europeo che “parla” americano: “Nolan non lo conosciamo certo oggi, e la sua è una forza creativa tanto unica, quanto rara nel cinema contemporaneo, e servendosi di questa riesce a tenere per mano il suo film, senza affanno, con la stessa possenza del suo Bane, impedendogli di cadere. Come un sapiente illusionista poi, riesce a nascondere a noi spettatori buchi e scivoloni di sceneggiatura, che di fatto ci sono, e stonano non poco con il suo perfezionismo maniacale della messa in scena, e il suo credo nel reale, nel verosimile a tutti i costi: ma le spettacolari scene d’azione formato IMAX, di lotta, i potenti dialoghi - elementi che fanno da cornice e disegno, linea e contorno ad un racconto ricco di contenuti, colori, sfumature di corruzione, umano terrore, e crisi esistenziali, - incantano gli occhi e scaldano il cuore: abracadabra.”

2) Steve McQueen. Un esordio, quello per Hunger, che ha dello sbalorditivo. Rivoluzionario, quasi anarchico, e addirittura visionario: conosce il linguaggio cinematografico, più della lingua che parla. Lo vediamo nelle scelte forti che prende, nella direzione degli attori, nel giusto equilibrio che ogni singola inquadratura viene ad assumere in seno al concetto che vuole esprimere: concetto, prima che azione narrativa. Impressionante.

1) David Fincher. Come per Nolan. Quando c’è lui, quando c’è un suo film, difficilmente non lo notiamo. Difficilmente ci passa in secondo piano la mano esperta di quello che oggi può essere considerato il maestro del thriller, e uno dei più grandi maestri viventi della Settima Arte. Fincher racconta il thriller con tutti i connotati che si porta dietro in quanto “genere”, con uno stile unico, e propriamente suo: lo stile migliore, oggi. Fincher ci concede, anche in Millenium, pagine d’antologia per corsi di regia: da guardare, ammirare, e poi da studiare e ristudiare. Non lo scopriamo di certo oggi questo autore. Perciò non mi dilungherò ancora.

 

MIGLIOR FILM:

3) Millenium – Uomini che odiano le donne di David Fincher. Leggermente al di sotto dei primi due, che si staccano di livello rispetto a tutti gli altri di questo 2012, il thriller di Fincher è comunque il migliore di questi “altri”, di cui ho parlato anche prima. A suo tempo ne scrissi la recensione, la trovate qui MILLENIUM di David Fincher. Non aggiungo altro.

Al primo e al secondo posto ci sono i due veri migliori film di questo 2012. Che non si assomigliano proprio per niente, e identificano mondi cinematografici diversi. Ma rispondono pienamente alla definizione che segue la voce “cinema”. Sono cinema di altissimo livello. Sono capolavori, con la c minuscola, ma capolavori. Opere grandissime nella loro costruzione sia narrativa che di significati.

2) Il Cavaliere Oscuro. Il ritorno di Christopher Nolan. Il Cavaliere Oscuro. Il Ritorno, riprende Batman Begins nelle atmosfere e nei toni, ma continua a percorrere le strade emotive, tematiche, introspettive del secondo capitolo della saga. È la sintesi perfetta tra i primi due film. Tuttavia, decisamente superiore al primo, ma altrettanto evidentemente, non agli altissimi livelli de Il Cavaliere Oscuro. [...]
Il Cavaliere Oscuro. Il Ritorno è l’epilogo perfetto e degno: necessario, giusto, preciso, coerente. Il Simbolo si è innalzato. L’opera d’Arte è compiuta. Alfred ci guarda, e sorride. Noi l’abbiamo resa eterna. IL CAVALIERE OSCURO. IL RITORNO di Christopher Nolan

1) Hunger di Steve McQueen. Ne avevo già parlato anche di questo film. Ma in Italia è uscito ufficialmente quest’anno, quindi è da considerarsi pienamente come film del 2012. Lo premio con il primo posto perché pur essendo di livello qualitativo, secondo me, alla pari de Il Cavaliere Oscuro. Il ritorno, merita una menzione speciale in più, perché opera prima, e perché non ha tutto il blasone dell’opera di Nolan. Chapeu a Steve Mcqueen, e a questo gioiello di film. Pregiato, raro. Da cercare, trovare e poi...contemplare. "Hunger è un FILM che riesce ad essere un realismo spietato e crudele ed al tempo stesso di elevatissima astrazione visiva e cinematografica. Il regista – esordiente e per questo candidato alla Camera d’or – è capace di scelte coraggiose ed anticonformiste, rifuggendo gli stereotipi legati al genere o al tema, dimostrando di possedere una visione cinematografica ampia e strutturata, che emerge in tutta la sua bellezza nello struggente finale DEL film, dove al dolore tutto carnale di Sands che muore di fame si affiancano visioni astratte, intime e mai retoriche. Da elogiare non è comunque il solo McQueen, ma anche gli interpreti: su tutti Michael Fassbender (che interpreta Bobby Sands, impressionante dimagrimento compreso) ed il misconosciuto caratterista irlandese Liam Cunningham. Quest’ultimo veste i panni di un prete che si reca in carcere per cercare di dissuadere Sands dal dare inizio allo sciopero che lo porterà alla morte ed è con Fassbender protagonista di una scena di dialogo ai limiti dell’incredibile: una scena di oltre 20 minuti di conversazione serratissima e intensa, realizzata in un unico ciak, a camera fissa, senza alcun taglio di montaggio o interruzione." (Federico Gironi)