TO ROME WITH LOVE di Woody Allen
Peggior film di Woody Allen. Bisogna dirlo, fin dal principio, perché è giusto così. Tutto ci si poteva aspettare dal regista americano, ma men che meno questo pseudo prodotto artistico, soprattutto se “partorito” dopo quello splendente gioiellino che era Midnight in Paris.
Risulta anche difficile raccontare la trama, perché evidentemente manca anche questa. Tante storie, che hanno come sfondo comune Roma: una città che però rimane soltanto uno sfondo. Bello sì, a tratti, ma pur sempre uno sfondo. Tante storie, dunque, che vogliono raccontare qualcosa. Ecco, anche qui, che vogliono. Perché stringi stringi non raccontano niente. To Rome with Love, di Love, quello vero ed autentico, che dovrebbe farti riflettere o insegnarti o, addirittura, paradossalmente, innamorarti, non ha niente, non dice niente, non aggiunge niente; anzi, a tratti, sembra assumere connotati pericolosamente amorali. La storia dei due giovani, marito e moglie, giunti nella capitale per coronare sogni di una vita splendida, costituisce l’esempio più esplicativo: sembra che l’adulterio, in una vita di coppia, costituisca una sana medicina, un processo necessario su cui passare, per poi potersi amare di più, in modo diverso. Soprattutto se resta inconfessato, e se la conseguenza più palese sia quella che viene espressa dalle parole che il marito dice a sua moglie, tradita con una prostituta procace e molto esperta: “Facciamo l’amore. Ti faccio vedere quanto sono diventato bravo. Ti divertirai.” Se la crescita di un individuo è questa, c’è da applaudire. Se questo è “Love”... Non so, forse ho interpretato male io il significato che Allen voleva dare alla vicenda. Unico spunto interessante poteva riservarlo il racconto che vede come protagonista il nostro Roberto Benigni: un uomo, Leopoldo Pisanello che diventa famoso “per caso”, senza saper il perché. Una mattina si trova accerchiato da paparazzi che gli pongono le domande più assurde (tipo “quale mano usa per radersi?”), rendendole un caso mediatico di primaria importanza; e così, ripetutamente, per i seguenti giorni della sua vita. Finché tutto si interrompe all’improvviso e senza spiegazione, così come era iniziato. Quella fama che inizialmente era diventata insopportabile, perché non dava pace, viene poi ricercata da Leopoldo, perché l’astinenza aveva creato troppo vuoto esistenziale. Si può riflettere, in questo caso, un po’, sui media, sui reality, sul fatto che di tutte le persone famose che ci sono al mondo, quante veramente si meritano questa fama, e su cosa conti di più nella vita, essere ricco e famoso, o povero e sconosciuto? Resta, tuttavia, il fatto che il film a livello narrativo risulta sconclusionato: un film corale che non condivide niente con i grandissimi film corali della storia del cinema, quelli fatti bene (se pensiamo ad Altman ci prendono i brividi). Ma, forse, nemmeno, con quelli un po’ più deboli. Perché il film di Allen non arriva nemmeno al traguardo, non si evolve. Di fatto, non racconta. Attraverso situazioni ridondanti, sempre uguali e ripetitive, scivolano via quadri di vite, che non hanno colore, né tantomeno sfumature. A volte insopportabili anche, presentando momenti stucchevoli, brutti e nauseanti. La trovata di far cantare l’opera mentre si fa la doccia, nell’episodio che vede coinvolto lo stesso Allen come attore, ad un semplice uomo proprietario di un’impresa funebre, perché in quella condizione sapeva tirare fuori una voce pazzesca, è urtante, e non fa né sorridere, né riflettere; anzi sembra quasi testimonianza di un compiacersi, di un sentirsi superiori, di un sentirsi quel tipo di artista al quale tutto è concesso, perché “fai genialate”.
Purtroppo, invece, Woody è incappato nel più grande e plateale scivolone della sua carriera.
With Love, Woody!
VOTO 4