TOP E FLOP di Febbraio 2016
01.03.2016 19:11
TOP
- The Hateful Eight di Quentin Tarantino. La stranezza è che abbia diviso pesantemente: chi l’ha odiato, chi l’ha osannato oltremodo. Forse la verità, come sempre, sta nel mezzo. Oppure, al massimo, nella lode. Ma bocciarlo, no, è veramente fuori luogo, e fuori da qualsiasi logica, da qualsiasi argomentazione e giustificazione. Tarantino in The Hateful Eight mette tutto il suo cinema: l’intreccio di Pulp Fiction, l’essenzialità di location de Le iene, la Storia e il giocarci, nonché i personaggi “bastardi”, come per Bastardi senza gloria, e tante citazioni e dettagli, inserzioni ed eiezioni, della sua filmografia. Perciò se ami Tarantino ami The hateful eight. È un’equazione matematica. E se ami il Cinema ami Tarantino, perché è cinema puro, generativo, goliardico: è cinema per il cinema, l’arte per l’arte. Ogni inquadratura è una sentenza di cinema. Non riconoscerlo è non conoscere cosa sia questa magnifica Settima Arte. Sentenze. Logiche e non.
- L’esperienza compartecipata di The end of the tour. Vorresti essere lì insieme a David Foster Wallace, come il giornalista David Lipsky, ad ascoltarlo, a cogliere un po’ di quell’aura mistica, di quel carisma, e farne tesoro, per apprendere, e per crescere. Essere lì, nell’America più periferica, meno conosciuta, più affascinante, nella solitudine di una casa isolata, in una condizione eremitica. Vorresti essere lì, e farti permeare da quei posti e quei paesaggi evocativi, da quella profusione continua di idee, per entrare in contatto anche solo per poco con quel mistero che circonda lo scrittore, e riuscire a creare qualcosa, anche di piccolo, non potrebbe essere altrimenti a cospetto di quello che ispirò Wallace e la sua creatività di scrittore. Vorresti essere lì. Ma sei qui. E allora, grazie al cinema, all’opera di James Ponsoldt (autore acuto), all’interpretazione sublime, fatta di precise sfumature di Jason Segel, che per circa due ore rendono possibile questa presenza.
- La sceneggiatura de Il caso Spotlight, film vincitore dell’edizione 2016 degli Oscars, che l’ha visto trionfare, appunto, anche per la sceneggiatura. Con merito (anche per l’assenza clamorosa di Sorkin per Steve Jobs). Se il film di McCarthy è un’opera di questo valore, non è tanto per la questione delicata e fortissima che tratta, ma per come questa viene imbastita, e “creata” in sede di sceneggiatura: uno script serrato nei dettagli, attento all’inchiesta e non a back stories o contorni vari, intento ad evocare quei fatti incresciosi di violenza attraverso la potenza della parola, e non a mostrarli; mirato a costruire personaggi perfetti e calzanti per la vicenda, e per i suoi attori straordinari.
FLOP
- Deadpool di Tim Miller. Non fraintendiamoci, il film non è male, fa anche ridere, in particolar modo nei suoi momenti di derivazione meta cinematografica, quando si prende in giro insomma, perché consapevole di non poter fare altro che questo. Ma non è il film atipico sul supereroe cazzone e scanzonato, come sostenuto da molti. È il solito film, la solita storia, le solite prevedibilità interne (di trama) ed esterne (di stile). La solita minestra insomma, non aspettatevi nulla di più.
- Qualche caduta nei soliti clichè per Lo chiamavano Jeeg Robot. Questa è una provocazione, perché l’opera di Mainetti è un film che va visto, assolutamente. E di cui essere fieri, da italiani, perché è un prodotto nuovo, di rottura, di coraggio. La punta di dissenso nasce proprio da constatare quanto detto, e quindi da percepire a quali altezze questo film sarebbe potuto arrivare senza le sbavature di sceneggiatura, invischiate nei soliti stereotipi e clichè, privi di quella forza innovativa, che forse non si riteneva (erroneamente) così necessaria; senza alcune cadute di messa in scena puramente televisiva. Perciò pur essendo una forte novità, e un fortissimo segnale per il cinema di casa nostra, non riesce a distaccarsi da sviluppi narrativi propri della più classica storia di supereroi. Risultandone debitore.
- Le note stonate di un’assegnazione degli Oscar, a conti fatti, buona. Snobbare Roger Deakins per la 13esima volta: parliamo di un pittore, scultore ed architetto della luce; snobbare quel mostro di Charlotte Rampling e le sue nuance espressive in 45 anni. Aspettare tanto l’agognato e strameritato Oscar a Di Caprio, per ritrovarsi poi un discorso, tanto atteso, così debole per la prevedibilità, e nemmeno un pizzico autoironico: suvvia, sappiamo tutti che tutta questa telenovela ha sfiancato anche a te Leo, ti chiedevamo di mostrarti umano per una volta, e non l’attore immenso che sei. E, infine, non comprendere la logica per cui un film che vince 6 premi tecnici non sia di conseguenza il miglior film, o uno che vinca fotografia, regia e miglior attore protagonista. Cioè, spiegatemi, per quali motivi quindi Spotlight è il miglior film, se la miglior fotografia, il miglior montaggio, la miglior regia, i migliori attori ce l’hanno altre opere? L’Academy ha imparato a scendere a compromessi, e non scontentare nessuno. Che carini!