WAR HORSE di Steven Spielberg
Come gli illustri antichi scrittori Fedro ed Esopo, così Spielberg oggi, nel 2012, scrive per immagini la sua prima e personale favola d’autore. Infatti il protagonista della storia raccontata dal celebre regista americano è un cavallo di nome Joey, un puledro selvaggio cresciuto nelle campagne inglesi dei primi anni del ‘900. È Ted Narracott che per primo vede in questo cavallo delle doti particolari ed uniche, una sensibilità profonda verso l’essere umano, e soprattutto una possibilità di salvezza per lui e la sua famiglia. Spetterà poi al figlio Albert il compito di addomesticare l’animale, e di insegnargli a portare l’aratro. Tra i due nascerà una profonda amicizia, destinata a durare nel tempo. Per sempre, come dovrebbe essere. Saranno i debiti di famiglia e la guerra a separare Albert dal suo compagno di avventura: Joey diventerà dapprima cavallo di cavalleria al servizio di un giovane ufficiale inglese; in seguito alla morte di questo, l’animale percorrerà in lungo e in largo il fronte della guerra, passando per la custodia di più persone, a volte gentili, a volte meno; di fatto entrerà nella vita di molti, segnandola in modo evidente, e portando quella salvezza che solo un “cavallo miracoloso” avrebbe potuto dentro ad un contesto come quello della guerra.
E’ intorno al viaggio e all’avventura di Joey che Spielberg costruisce il suo ampio affresco bellico. Un film che si sviluppa per blocchi narrativi, individuati proprio negli incontri che l’animale fa con persone sempre diverse, e dal rapporto instaurato con queste. Nella prima parte il cavallo farà da cornice a destini tragici dei suoi cavalieri. La guerra appare subito un’impresa troppo grande umanamente, e la vita spesso dovrà fare strada alla morte. E’ quello che capita al giovane ufficiale inglese che aveva comprato il cavallo dalla famiglia Narracott e promesso ad Albert di averne cura. Muore per adempiere al suo dovere. Joey passerà poi sotto la custodia di due giovanissimi soldati tedeschi, che lo impiegheranno inizialmente per il trasporto dei feriti. E poi per poter fuggire dalla guerra, da un destino che aveva deciso di separarli. Muoiono entrambi per aver soddisfatto il desiderio di stare insieme, e per aver cercato a tutti i costi di mantenere una promessa fatta alla madre. In una delle scene più belle del film, Spielberg ci racconta la loro esecuzione, in modo perfetto, come si confà ad una favola: l’attesa della morte vista da lontano in campo lungo, l’attimo celato dalla pala di un mulino a vento. Il sangue non compare in War Horse, è nascosto: non è la tragedia bellica concreta e visibilmente fisica di Salvate il soldato Ryan. Sono piuttosto i buoni sentimenti che nonostante tutto riescono a stare al di sopra di ogni elemento negativo, di un assalto di cavalleria, di una trincea, di una depredazione, di uomini senza cuore. E’ quel buonismo spielberghiano, che attraversa la battaglia, e che vince sempre alla fine. Come nella vita. Joey per Spielberg è quello che è stato Forrest per Zemeckis nel Vietnam: cercare di dare una ragione di vita anche in mezzo alla distruzione, cercare di portare sorrisi e voglia di vivere in una realtà che non lo permette più. Ed ecco che lo vediamo approdare nella casa francese della piccola Emilie e di suo nonno. E portare serenità, pace ed equilibrio. Finché la guerra non decide di riprenderselo per l’ennesima volta: per spezzarsi in due nel trasportare l’artiglieria pesante. Per uccidere. Spezzarsi in due per portare l’aratro e rendere coltivabile un terreno duro come la pietra della famiglia Narracott. Per vivere. In un perfetto sviluppo narrativo Spielberg ribalta le situazioni, e insegna con gli opposti. Verso lo scioglimento finale. È in questo momento che il film sale di livello, e raggiunge vette di cinema altissime: nella splendida sequenza dell’assalto di fanteria, al quale partecipa anche Albert, intanto arruolatosi per poter ritrovare il suo Joey, e il suo migliore amico. Spielberg si richiama al grandissimo film di Peter Weir, Gli Anni Spezzati, e conduce all’assalto il suo giovane protagonista: la vita dell’atleta Hamilton di Weir si spezza, non appena saltato fuori dalla trincea, nella sua pienezza, come a simboleggiare la stessa fine di tanti ragazzi, che si sono visti sacrificare speranze, sogni e bellezza di vivere, a logiche che non considerano per niente tutto questo. In War Horse molti moriranno, ma Albert riuscirà nell’impresa, sia del piano d’attacco, sia quella più importante di rimanere vivo. Lo stesso per Joey, che correndo, attraverserà il campo di battaglia in tutte le direzioni, senza freni e senza remore, per poter scappare più lontano possibile da tutto quel male. Con carrelli sbalorditivi, e un mix di inquadrature perfetto, assistito da un montaggio corposo e dalla splendida fotografia in notturna del solito immenso Kaminski, Spielberg crea una sequenza unica, di fortissimo impatto emotivo e di ampio respiro cinematografico. La Prima Guerra Mondiale è ritratta in uno dei suoi quadri cinematografici più belli. Un Capolavoro. Spielberg dimostra per l'ennesima volta di essere il più grande narratore per immagini del nostro tempo. La corsa di Joey si concluderà, bloccata dal filo spinato, che lo stringerà e lo farà cadere stremato nella “terra di nessuno”, a metà via tra le trincee inglesi e quelle tedesche. Il dialogo che si apre successivamente tra due soldati, di opposti schieramenti, intervenuti per salvare l’animale dal filo spinato, suggella la parte migliore del film. E mette, di conseguenza, ancora più in rilievo alcuni difetti che la pellicola ha mostrato, soprattutto nei primi minuti. Di sceneggiatura soprattutto: di una mancanza di compattezza narrativa generale, in senso ampio; di dialogo, se vogliamo scendere nel dettaglio. Piuttosto scontati, condotti quasi a intermittenza nei meccanismi propri della narrazione. Più che un libro illustrato di favole, quasi a fumetto per intenderci. Certamente necessari per il film e per le tematiche che racconta, più che per lo sviluppo della storia, ma comunque deboli nella struttura e nel senso narrativo; spiccioli. Fa da contraltare appunto questo incontro, nel bel mezzo di un campo di battaglia di una guerra, tra il giovane inglese e il tedesco. Il dialogo è sorretto innanzitutto dall’azione di salvataggio concreta ed importante, che entrambi compiono nei confronti di Joey. Reggendosi su questa base solida si sviluppa uno scambio di battute che con semplicità ed ironia, ci parla di contenuti profondi. Dell’amicizia e dell’amore che la guerra e l’opposto schieramento non possono fermare. In pochi minuti Spielberg riesce ad inquadrare la vita di sacrificio e sudore in trincea, e l’importanza di quei valori che riescono a sopravvivere a tutto. Semplicità, da commedia, senza cadere nella superficialità, creata grazie ad una cura nell’immediatezza tempistica: i tempi hanno la loro verosimiglianza, sono giusti e ci fanno captare realtà. Così quando alla fine i due soldati si salutano, dicendosi “amico mio”, non sembra una forzatura e una banalità, ma arriva, perché sentiamo che così è veramente.
Come percepiamo sincerità, bellezza, nel ricongiungimento tra Joey e il suo padrone Albert: un buonismo non superficiale o scontato, ma qualcosa di cui sentiamo veramente il bisogno. Qualcosa di necessario. Come lo sono ogni favola e fiaba. Perché è quello che conta.
Il perfetto tableau familiare, inquadrato da Spielberg, illuminato a tramonto da Kaminski, sembra un Capolavoro pittorico da esporre al Louvre. E conclude il film. Anche Albert ora riesce a capire il motivo per cui suo padre non gli avesse mai parlato della guerra. E con lui, anche noi.
Spielberg di fiabe ce ne ha raccontate tante, bellissime, commoventi, frammenti indelebili nella storia del cinema. Anche War Horse ha il sapore di una di queste splendidi fiabe. Ma, una volta concluso, la sensazione che rimane nello stomaco è più quella di aver assistito ad un Always piuttosto che ad un ET. Manca quel sapore di eternità. Che incide l’opera nel cuore dell’appassionato di cinema, e la imprime nella memoria di tutti gli amanti di Spielberg.
(Che, in fondo, dovrebbero essere la stessa categoria di persone)
VOTO 7