Libri

PER SEMPRE - Susanna Tamaro

24.07.2012 22:07

Ho da poco terminato la lettura di un libro piacevole, Per sempre, di quella Susanna Tamaro conosciuta dal sottoscritto non per il suo best seller Va dove ti porta il cuore, come si potrebbe pensare, ma per quel capolavoro di romanzo per bambini che è Cuore di ciccia, letto alle scuole elementari.

Pur non essendo i bambini i destinatari ultimi di questo libro, Per sempre, conserva tutta la freschezza e la semplicità di scrittura dell'autrice, che non osa avventurarsi in intrecci narrativi complessi, o in esposizioni troppo erudite. Arrivano diretti i messaggi di Susanna Tamaro: qui hanno un peso specifico diverso nell'universo Vita, ma non permettono assolutamente di non farsi capire, anzi. La storia di Matteo, ex chirurgo, diventato una specie di eremita, ci fa misurare con tantissime questioni, delle quali è costituita e costruita la nostra realtà. La vita e la morte, la separazione e il dolore, la natura, i figli, i genitori. la ricerca di se stessi.

L'Amore e Dio: che nel titolo e tra le pieghe del romanzo scopriamo affascinati il segreto della loro Essenziale e Necessaria unione.

Esiste il “Per sempre”?

POESIE di Emily Dickinson

05.07.2012 18:50

POESIE- Emily Dickinson

CIME TEMPESTOSE di Emily Bronte

05.07.2012 18:48

CIME TEMPESTOSE

OCEANO MARE di Alessandro Baricco

05.07.2012 18:44

Oceano Mare

 

 

BIANCA COME IL LATTE, ROSSA COME IL SANGUE di Alessandro d'Avenia

05.07.2012 17:43

Caro Dio...

Caro Leo,

INHERITANCE di Christopher Paolini

05.02.2012 10:20

Si chiude il Ciclo dell’Eredità. E si chiude nel peggiore dei modi. O comunque non rispettando le aspettative, che sicuramente non erano altissime, ma di buona levatura. Perché sicuramente dopo quell’Eragon, primo libro, scritto alla sola età di 15 anni, da Paolini più che ventenne oramai ci si aspettava decisamente qualcosa di meglio. E invece questo non si è verificato.

Tuttavia è certamente stato difficile per me leggere la parola FINE e chiudere il libro; chiudere con un’altra saga fantasy, le esperienze letterari che più amo: uniche e piene di vita. E questa difficoltà va ad evidenziare sicuramente un aspetto positivo di tutto il mondo creato da Paolini: il fatto che mi ci sono affezionato, e per affezionarsi ad una cosa vuol dire che un po’ almeno ti piace. E’ vero è stato bello viaggiare per Alagaesia, a piedi, a cavallo, o sul dorso di un Drago: tra guerre, duelli, amori, speranze, e gridi di vittoria, cene e chiacchierate sotto le stelle. Ma al di là di queste sensazioni superficiali, che sono comunque indispensabili per un fantasy e per la sua riuscita, dietro, più a fondo, rimane ben poco. Paolini non riesce a confezionare un romanzo degno di nota, né degno di questo genere: forse il peggiore della saga insieme a Brisingr. Proprio gli ultimi due, proprio quando ti saresti aspettato il salto di qualità. Inheritance sembra un videogioco. Si va avanti per tutto il libro con affermazioni del tipo “io sono più forte di te”, “gli elfi sono più veloci dei nani”, “Galbatorix solo perché non entra in campo, sennò annienterebbe tutti con uno schiocco di dita”; quando ti aspetti il discorso bello e potente, pieno di significato, prima di uno scontro o di una battaglia, arriva Murtagh e dice “finchè ci sarò io qui con Castigo (il drago) a difendere la città, per voi non ci sono speranze”. Il libro soffre a livello di ritmo, troppo lento, troppe parti dove non accade veramente nulla di significativo, e gli assedi alle città sono di una lentezza unica: non dovuta a momenti di riflessione e silenzio, ma proprio momenti di stanca e di noia. “Roran è un genio” e così si inventa un piano super geniale per conquistare Arughia; ma Paolini non ce lo rivela, ce lo vuol far scoprire vivendolo con la narrazione, nello stesso tempo dei suoi personaggi. Stessa procedura per tutto il romanzo, non solo con Roran, ma anche con Eragon o con chiunque gli viene in mente qualche idea geniale: “ho ideato questo piano!”, e in silenzio sulle orecchie degli altri comandanti, in modo da non farsi sentire al lettore! E poi tutti: “cavolo! È perfetto!”, oppure “un bellissimo piano decisamente. Ma è troppo pericoloso. Non ce la faremo mai”. E la mitica frase retorica per concludere “E’ l’unica alternativa che abbiamo. Altrimenti Alagaesia non sarà mai libera!” Bè, sarà anche reso nel modo più banale possibile, ma l’impianto stilistico scelto da Paolini non è male; è giusto e funzionale. Lasciare il lettore senza riferimenti chiari, metterlo quindi in gioco in prima persona, vivendo concretamente le esperienze dei personaggi, vivendo con loro, è una trovata narrativa apprezzabile. Perché sicuramente ti mette anche nella posizione di immaginare di più quello che potrebbe accadere, e attendere con impazienza (non troppa veramente, però un pochina si) il proseguimento del racconto, per sapere se quello che avevi immaginato è come poi si è verificato, o, anzi, qualcosa di meglio: perché alla fine è sempre lì che risiede la bellezza di un romanzo, ma anche di un film, o di qualsiasi opera d’arte. L’originalità, ma quell’originalità che ti spiazza. E l’attesa c’è. Ma l’originalità proprio manca in Inheritance. Quando sei lì a vivere concretamente il piano architettato dal genio di turno, che a detta di tutti è qualcosa di pazzesco, ti rendi conto invece che è una vera ciofeca. Cioè alla fine è originale, perché una cosa così scontata e banale era difficile prevederla. Da far cadere le braccia. Cioè io pensavo chissà quale piano, quale stranissima variante aveva organizzato Eragon per portate l’attacco finale a Galbatorix, per poter far breccia nella sua fortezza! E invece, semplicemente: entrare, correre un pochino, evitare qualche trappola grazie all’aiuto di una sensitiva, e oplà a cospetto di Galbatorix. Bò! Delusione. Oppure il viaggio assurdo per raggiungere l’isola dove un tempo risiedevano i Cavalieri dei Draghi, per seguire una vecchia profezia fatta ad Eragon, dove dicesi avrebbe trovato qualcosa per aiutarlo. La cosa più scontata? Un sacco di eldunarì (i cuori dei draghi), e tante uova magicamente conservate per secoli. E io che mi aspettavo un incontro mistico con il Creatore del Mondo. Mah, che ne so, qualcosa di spessore dai! Che poi tutta quest’aura mistica intorno a questi Draghi a me ha dato anche un po’ di nausea alla fine. Senza sapere poi che anche Arya sarebbe diventata un Cavaliere! Una cosa prevista sicuramente da tutti a metà di Eldest, il secondo libro. Attenzione, questi non sono spoiler, perché sono cose talmente scontate, che forse riesci ad intuire già dalla trama di copertina.

Se molti hanno criticato anche il finale, lo scontro con Galbatorix e la sua sconfitta, io invece l’ho trovato interessante. Una delle poche parti da salvare del libro. Perché si sa, scrivere il momento apice della storia ed essere originali, senza deludere le attese del lettore, non è semplice. E se mettiamo in conto che probabilmente Paolini quando è partito a scrivere questa sua avventura, non aveva ancora ben chiare le conclusioni o come andasse a finire la storia, e che quindi, ha dovuto lui stesso improvvisare e fantasticare in condizioni quasi al limite (di tempo, e corrispondenze fra tutti gli elementi della storia fin li raccontata), allora possiamo dire che è stato anche bravo. E la trovata della Parola, che può soggiogare tutti i poteri magici, è uno spunto notevole, apprezzabile sotto molti punti di vista, e una delle trovate più importanti e originale del giovane autore, in tutta la saga. Qualcosa da salvare, quindi, c’è sicuramente. Ma continuiamo con le assurdità.

Paolini chiede scusa ai lettori nei ringraziamenti classici a fine libro, se non ha detto di più sulla figura di Angela, spiegandone anche il motivo, che sinceramente faccio fatica a capire. E’ stata la “cosa” più intrigante di tutto il romanzo, l’unico mistero degno di nota, tenuto alla grande da Paolini nella tensione, nel rilascio cadenzato e misurato di notizie, di indizi. E poi puff! Non ci rivela niente. E potrebbe anche starci come idea, quella di lasciare un dubbio, di lasciare irrisolto questo personaggio, che a mio parere è il più riuscito della saga – segue Murtagh, forse il personaggio più complesso sotto il profilo psicologico. Ma devi comunque dare ai tuoi lettori la possibilità di crearsi una loro soluzione, che poi può essere diversa da lettore a lettore, ma ci deve almeno essere la possibilità. Sennò così non significa veramente nulla: l’atmosfera si perde, il senso non si trova, e Angela scompare nel vuoto, come niente fosse! Inconcepibile.

I blocchi narrativi poi non sono raccordati per niente, da nessun elemento. L’unico, sono i bruchi che Galbatorix usa per torturare Nasuada, gli stessi che poi Eragon vede nella stessa isola di cui abbiamo parlato prima. La narrazione pertanto risulta piatta, asciutta, lineare, e il cervello del lettore si spegne, anzi non si accende mai, perché non ce n’è bisogno. Nemmeno per ragionare su questioni tematiche o morali che il libro solleva. Tutto standard, tutto troppo semplice: gli affetti familiari, l’amore (anche se il rapporto tra Eragon e Arya è particolare, e creato bene dall’inizio fino al malinconico finale), l’odio, la sete di potere, e tutti i soliti temi che caratterizzano un qualsiasi fantasy. Ma il bello è quando Paolini osa il discorso sulla religione e su Dio: che banalità! Ok, ci troviamo di fronte ad una ragazzo di vent’anni, ma cavolo, “se Dio c’è, perché permette che la gente muoia?” è un dubbio che puoi avere a 12 anni, ma che a un certo punto una tua soluzione gliel’hai trovata. Religiosa o non.

Deludente, deludente, troppo deludente. Con tanto rammarico.

Comunque spero che Paolini non si fermi a scrivere. Non tanto per gli ultimi libri, che hanno messo in evidenza una maturità ancora non completa, ma per quanto ha fatto vedere con Eragon, il primo libro: una storia semplice, anche originale, perchè i Cavalieri dei Draghi sono una bella trovata, come il rapporto Cavaliere e Drago, ecc... ecc... Un romanzo senza troppe pretese, che voleva solo appassionare, intrattenere, raccontare l’essenziale, con ritmo e tempi giusti, non voleva strafare, ma solo mettere in luce il sogno di un ragazzo di 15 anni: un sogno che ha condiviso con milioni di altri individui. Un sogno che ci anche è piaciuto.

Mi rivolgo all’autore: continua a sognare Christopher. Con la giusta maturità potrai veramente dare vita a qualcosa di meraviglioso. Perché sei un sognatore amante di fantasy. E perché soprattutto, nonostante i tuoi limiti, che tu stesso probabilmente riconoscerai a te stesso, hai tanto, tanto coraggio! E questo non è da tutti.

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