Breaking Bad
Io non sono un esperto di serie televisive. Perché richiedono diverso tempo, che non ho. Ma ogni tanto do qualche chance a qualcuna, che mi ha consigliato un amico o di cui ho sentito parlare. E se mi prende, è fatta. La seguo, tutta, fino in fondo. Perché vuol dire che mi piace. Che mi fa compagnia.
Ma, tengo a ripeterlo, non sono un vero intenditore del mezzo “televisione”. Ma siccome la serialità moderna si avvicina molto al cinema, e al suo linguaggio (si sono influenzati a vicenda), posso provare ad esprimere un mio giudizio. Breaking Bad è veramente un capolavoro, un gioiellino, un’eccezione bellissima, nel panorama televisivo. Di tutti i tempi.
Arrivo in ritardo a parlarne. Perché tardi l’ho scoperta e iniziata a vedere. Ma alla fine sono riuscito a completare la visione, in un equilibrio piuttosto giusto tra il “divorare” episodi, e il rispettare la serialità televisiva, la sua vera natura: quindi il saper aspettare e pazientare tra una puntata e la sua successiva.
Breaking Bad nasce dalla mente eccezionale di Vince Gilligan. Si fonda su un soggetto particolarissimo, originale, fortissimo: un professore di chimica, Walter White, padre e marito, scopre nel giorno del suo 50esimo compleanno di avere un tumore ai polmoni. Con la consapevolezza di avere ormai pochissimi giorni di vita, decide di mettersi a cucinare metamfetamina, la droga dei “cristalli” diffusa particolarmente in America: per ricavare la somma necessaria per tutelare un futuro roseo alla sua famiglia. Inizia da qui un’inesorabile discesa verso il degrado morale più basso. Una serie di eventi che non si fermerà più fino all’epilogo, e sempre più esagerati, sempre più malvagi: “breaking bad”, per l’appunto. Sempre più bad. La serie di Gilligan va avanti rispettando due linee narrative: una prevedibile dallo spettatore, l’altra no. La prima riguarda la vicenda del signor White, nello specifico il suo segreto, la sua doppia personalità, che prima o poi sappiamo sarebbe stata scoperta, e non facciamo che attenderne il momento, per sorprenderci dal “come” ci verrà svelato. In questo caso la storia cerca di rendere nel miglior modo possibile le aspettative dello spettatore. Se questo costituisce un filo conduttore che lega insieme tutti i capitoli della serie, dall’altro lato Breaking Bad è spettacolare nella misura in cui riesce ad essere imprevedibile: lì, nei microsviluppi di una storia costruita talmente bene, senza intoppi, né buchi, da sembrare quasi quella di un lunghissimo film frammentato in piccole parti. Tutto torna, sempre. Tutto è verosimile. Niente fa storcere il naso. Le forzature non ci sono, o se ci sono, quelle poche, vengono nascoste molto bene da un grandissimo lavoro di sceneggiatura. Si prende lussi importanti Breaking Bad, perché sa di permetterselo, perché consapevole della sua stessa qualità artistica: per questo nascono puntate come quella della mosca, spesa interamente da Walter e Jesse a dare la caccia ad un insetto. Inoltre la serie di Gilligan ha una realizzazione tecnica invidiabile, in ogni reparto. La regia è un mix sapiente ed intelligente di più stili, che si confanno ai diversi generi che la serie mette in campo: dal thriller al noir, dalla commedia più spensierata e veramente esilarante (si ride e molto spesso) a quella nera, dal western al dramma più autentico (veri pugni allo stomaco). Moderna e fresca, mai banale, sempre funzionale al contenuto, a volte di una profondità inaudita: la mdp si muove in modo perfetto nell’evoluzioni narrative del racconto e psicologiche e interiori dei suoi personaggi. Altro punto di forza di Breaking Bad è il reparto artistico: attori di altissimo e assoluto livello. E non mi riferisco solo a Bryan Cranston che dà vita a Walter White in modo magistrale, vero fino in fondo, nei minimi dettagli. Ma anche agli altri protagonisti della vicenda: nelle mani dei loro interpreti diventano personaggi veri, talmente reali che ti aspetti di incontrarli fuori, per strada, e di poterli salutare, per quanto hai imparato a conoscerli.
Ci sarebbe da scrivere un vero trattato su Breaking Bad, sulla costruzione narrativa, dalle pieghe accurate del racconto, ai meccanismi che legano i vari personaggi (penso al rapporto tra il signor White e Jesse Pinkman), sull’evoluzione e l’involuzione di ognuno di loro, sulla crescita costante di intensità e ritmo stagione dopo stagione: è sintomatico che una serie televisiva ad un certo punto subisca un leggero calo, di solito a metà o prima del gran finale. Breaking Bad non lo fa: cresce e cresce, a tal punto che lo spettatore non potrà farne a meno del gusto genuino che gli procura il semplice vederla, volendone sempre più e risultando ogni volta accontentato. È metamfetamina Breaking Bad. Anzi, pur non conoscendo i cristalli blu, è molto meglio. Sicuro. Ci sarebbe da scrivere anche una o più pagine sul senso del meccanismo televisivo, e qualcuna in più sui molteplici temi che solleva, che colpiscono, che non lasciano indifferente. Anche perché è veramente sottile il discorso morale che soggiace ad una serie così impegnata (ed impegnativa): e ci vuole uno spettatore “maturo” per poterlo cogliere appieno. Pretende Breaking Bad. Pretende dal suo pubblico. Pretende divertimento, ma anche riflessioni profonde e non scontate, perché il coinvolgimento dello spettatore alla vicenda è sì fortissimo, ma proprio per questo “tosto”, perché sempre ambiguo, poco definito, dai confini vaghi, dalle barriere deboli.
Tutto questo rende Breaking Bad uno spettacolo “adulto”. Forte. Necessario. Interessante. E una delle cose più belle che ho visto. Ti affezioni alle peripezie continue dei personaggi, ti affezioni a loro. E lasciarli non è semplice. Ne sento quasi la mancanza.
In attesa che venga sopperita da altro.